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VITA DA STREGA

Pubblicato il 14 ottobre 2005 da Alessandro Izzi


VITA DA STREGA

Se in Europa il rapporto tra industria cinematografica e medium televisivo è sempre stato improntato all’insegna di un agonismo sfrontato e sfiancante in cui il secondo era sempre il nemico da combattere e la prima la realtà colta da preservare nella sua atavica ed indiscutibile purezza e se in Italia, oggi come oggi, il cinema sembra essere sempre più messo in subordine rispetto allo strapotere goliardico ed invasivo delle sempre più becere programmazioni televisive, in America, viceversa, anche nelle espressioni di più marcata cinofilia, il rapporto tra TV e sala è sempre stato all’insegna di uno scambio possibile di strutture, di idee, di possibilità. La moderna televisione americana è quanto di più cinematografico si possa, oggi, trovare in giro e serie come E.R. o C.S.I. (ma anche i più recenti Lost o Disperate housewives) segnano, di fatto, gli esiti finali di una strategia spettacolare in cui i limiti del piccolo schermo vengono trascesi e rilanciati verso l’infinito di un’immagine archetipica in cui vengono sapientemente ibridate le potenzialità di un linguaggio cinema con le proliferazioni interne rese possibili da un modello di racconto seriale. Ma lo scambio, come accennavamo sopra, è mutuo e consenziente e se resta vero che la televisione accetta i rischi di una narrazione cinematografica magmatica e difficilmente controllabile è altrettanto vero che il cinema si appropria con molta immediatezza di idee, archetipi e figure che la televisione ha già abbondantemente sfruttato, spesso, come nel caso del recente Vita da strega, ha anche abbondantemente esaurito. Il caso del film di Nora Ephron diventa, anzi, esemplare non tanto per il palese saccheggio di un modello di racconto e di un novero di personaggi tipicamente televisivi (al punto che si potrebbe arrivare a pensare al film come all’episodio pilota di una nuova serie), ma soprattutto come dichiarato tentativo di ripensare il cinema e il suo linguaggio attraverso i sistemi di comunicazione televisiva. Nella mente della sceneggiatrice e regista di C’è posta per te, quindi, la televisione non è altro che uno specchio, sia pure distorcente e rimpicciolente, entro cui il cinema può vedere riflessa la propria immagine; uno strumento, insomma, con il quale diviene possibile comprendere meglio la propria funzione e il proprio significato spettacolare all’interno della moderna società delle immagini. Un’idea certo non banale che riarticola il racconto all’interno di una serie di autoriflessioni sia linguistiche che narrative in cui i modelli linguistici esperiti nella serie e i personaggi che l’hanno popolata ritrovano un proprio doppio speculare all’interno del racconto cinematografico in un gioco di rimandi interni che si fa spesso vertiginoso. Peccato, allora, che questa intenzione metariflessiva, sulla carta ampiamente stimolante ed interessante, non riesca, nel corso della proiezione, a raggiungere le sue estreme conseguenze e a farsi “discorso” rimanendo sempre nella dimensione del gioco e dell’ammiccamento spesso gratuito. Vita da strega si lascia vedere, insomma, più come arguta operazione nostalgia che come valido spunto di riflessione sulla realtà spettacolare contemporanea. Restano, quindi, alla fine, per il povero spettatore pagante solo simpatiche trovate, il brio qui molto scolastico di Nicole Kidman e il piacere di ritrovare due vecchie canaglie come Michael Caine e Shirley MacLaine. Un po’ poco a giustificare la spesa del biglietto.

(Bewitched); Regia: Nora Ephron; sceneggiatura: Nora Ephron, Delia Ephron; fotografia: John Lindley; montaggio: Tia Nolan, Stephen A. Rotter; musica: Mike Fenton; interpreti: Nicole Kidman, Will Ferrell, Shirley MacLaine, Michael Caine; produzione: Bewitched, Columbia Pictures Corporation, Red Wagon Productions; distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia; origine: U.S.A., 2005

[Ottobre 2005]

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