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Vulcano

Pubblicato il 17 giugno 2015 da Matteo Galli
VOTO:


Vulcano

La drammaturgia della passata Berlinale dove il film ha conquistato un orso d’argento, sembrava scritta da Edmund Burke o da Immanuel Kant, i due massimi teorici del sublime: il ghiaccio, il deserto e adesso il vulcano, tutti paesaggi centrali nelle teorie del sublime, paesaggi che mettono a dura prova il soggetto, il quale è chiamato in un complesso rapporto di attrazione/repulsione a trovare la forza interiore per tener testa alle forze della natura, con esiti alterni. Qui si tratta di un vulcano guatemalteco, anche se poi, nei siti dedicati ai vulcani del Guatemala, nessuno sembrerebbe esser così chiamato, e il nome del film parrebbe piuttosto derivare da figure della mitologia maya. Ma poco importa. Ai piedi del vulcano, a cui è sempre bene in ogni circostanza rivolgere una preghiera, perché non si sa mai, abita un piccolo nucleo familiare di appartenenti alla tribù Kaqchikel, padre, madre e figlia. Come in moltissimi paesi del mondo anche qui vige la tradizione che la ragazza il proprio sposo non possa sceglierselo da sola. In questo caso la situazione è ancora più complessa per due ragioni: perché il promesso sposo, piuttosto bruttarello e antipatico, è anche colui che funge da caporale, fattore, insomma interfaccia col vero padrone della piantagione di caffè nella quale l’intera famiglia lavora spaccandosi la schiena. Ed è proprio da lui che dipende la decisione se continuare a lasciar vivere la famiglia nella propria catapecchia o condannarla ad una vita nomade, vero spettro in questo angolo alla fine del mondo, col vulcano che incombe e i serpenti velenosissimi che non c’è verso di debellare, né con le disinfestazioni né con la magia. Ma c’è una seconda ragione: a María, alla protagonista, alla fanciulla appena diciassettenne, la prospettiva non piace per nulla. Lei, in realtà, gli occhi li avrebbe messi addosso a un coetaneo un po’ balordo ma pieno di voglia di lasciare quella terra difficile, quella vita da fame e di raggiungere gli Stati Uniti, fare i soldi e imparare l’inglese, e Maria vorrebbe seguirlo. Perché i kaqchikel, oltre a essere analfabeti, parlano solo la loro lingua, non parlano né capiscono la lingua nazionale che è lo spagnolo, un’ignoranza che nella parte finale del film risulterà tremenda. Ma prima di arrivare a tanto María resta incinta la prima volta che si concede al coetaneo (che all’istante la mollerà tradendo i sogni di una fuga oltre il vulcano, dove c’è il confine col Messico, e di là poi…). La madre, solidale e anche molto fattiva, prova in tutti i modi a farla abortire, ma senza successo. Anzi: la meravigliosa e pacificata reazione della madre, quando decreta l’inutilità dei suoi tentativi perché la bambina “vuole” nascere, è una delle scene più belle del film. La gravidanza diventa di dominio pubblico e il fidanzato, spietatamente, non potrà che trarne le conseguenze. Ma ci si mettono di mezzo i serpenti e la vicenda, nella parte finale, prende una piega particolarmente agghiacciante che non riveleremo nella neanche troppo segreta speranza che di questo bel film si continui a parlare, che vinca qualche premio a Berlino, che venga distribuito.
Ixcanul è il primo lungometraggio di Jayro Bustamante che ha 38 anni e ci possiamo solo compiacere che il film sia entrato a far parte del concorso. Si tratta, per certi aspetti, di un esemplare film d’autore: perché non si compiace affatto della location, per tanti aspetti poderosa, nella quale è ambientato, perché all’interno di un plot, in fondo visto e rivisto (quanti matrimoni combinati popolano il cinema?), è riuscito, in una sceneggiatura solida e densa, a innestare numerose e sorprendenti varianti, perché lo sguardo antropologico-etnografico del regista (che da quella zona proviene e dopo aver studiato a Parigi e anche a Roma adesso è tornato per girare il film) non indulge mai al bozzettismo, per intenderci “sud e magia”, pur fornendo una documentazione assai ricca e accurata dei riti sociali e religiosi di questa comunità. Le due interpreti, la madre – María Telon – e la figlia – María Mercedes Coroy sono molto convincenti.


CAST & CREDITS

(Ixcanul Volcano); Regia, sceneggiatura: Jayro Bustamante; fotografia: Luis Armando Arteaga; montaggio: César Díaz; interpreti: María Mercedes Coroy (María), María Telon (Juana), Manuel Antún (Manuel), Justo Lorenzo (Ignácio), Marivn Coroy (El Pepe); produzione: La Casa de Producción; origine: Guatemala, Francia, 2015; durata: 90’.


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