Whiteout – Incubo bianco

È un candore che avrebbe meritato di essere sporcato almeno un po’, assieme al profilo fin troppo perfetto di Kate Beckinsale, circondato dalla nitidezza di un’Antartide che nel suo gelo estremo avvolge ogni persona e ogni oggetto, investendoli con la forza del whiteout, un vento fortissimo che, durante il lungo inverno, per ogni dove propaga un biancore assoluto e sferzante che impedisce di vedere l’orizzonte, disorientando il cammino e i pensieri e negando ogni possibilità di mantenere un punto di riferimento: un fenomeno che, secondo alcuni, è capace di far perdere la testa, nella solitudine delle terre estreme.
Solitudine in mezzo al cameratismo, una contraddizione solo apparente sulla quale Dominic Sena pone subito l’accento – dopo un prologo ambientato nei cieli antartici di cinquant’anni fa - attraverso un carrello che segue la detective Carrie Stetko che con passo deciso cammina lungo un corridoio, sfiorando appena gli altri corpi che incrocia sulla strada: unica sua meta è la propria stanza, dove è attesa dal getto caldo di una doccia, agognata fine di una giornata faticosa come tante altre prima di essa, in un luogo sì inospitale, ma completamente pacifico. Una certa tranquillità, quindi, almeno fino a quando verrà scoperto il cadavere di un geologo americano. Un corpo maciullato, quasi incastonato nel ghiaccio, una carcassa che è l’impronta di un omicidio, il primo nella storia di quel continente che da sempre fa di tutto per respingere la presenza umana. Un avvenimento che di certo meriterà un’indagine approfondita da parte di Carrie, agente federale che ha lasciato Miami per quella terra di ghiaccio, scegliendo una permanenza agli antipodi necessaria per espiare chissà quali colpe.
«Sotto certi aspetti è come in un western classico, con lei nel ruolo dello sceriffo della piccola città, costretto a impugnare di nuovo la pistola», come affermato dal regista Dominic Sena: un’eroina con caratteristiche finanche interessanti, in cui la forza si accompagna alla debolezza e al dolore, in una città che qui è un territorio senza un governo centrale e vagamente controllato da un accordo multi-nazionale, una terra di nessuno e, pertanto, di tutti, dove chiunque potrebbe nascondere un segreto inconfessabile. E dove, perciò, non conta solo imparare a conoscere se stessi, ma anche e soprattutto chi si ha accanto. Un disorientamento questo che, con tutte le migliori intenzioni, avrebbe potuto legare l’habitat ai destini degli uomini che lì sopravvivono, creando una tensione morale che, invece, si fa sentire solo in superficie, non riuscendo a sporcare appieno la materia narrata e, perciò, risultando incapace di intaccare quel gelo che sotto di sé cela i segreti del passato così come le interiorità dei personaggi. Tanto che il dibattersi di questi ultimi è poca cosa, avendo i realizzatori di Whiteout preferito concedere maggiore spazio all’aspetto fisico della realtà circostante che alla sua interpretazione. Sotto questo punto di vista, però, è certamente apprezzabile l’uso cinematografico che si è fatto delle funi di sicurezza cui le figure in scena devono aggrapparsi per orientarsi nella bufera e districarsi tra i vari padiglioni che compongono le basi (quella americana e quella russa) per evitare, così, «di finire nel nulla spinti dalla forza del vento». Ossia il Nulla di una natura, di uno spazio intorno, che fagocita chi ha ormai già perso la strada da seguire. Ma per il resto la regia e la sceneggiatura non sanno mantenere un legame dinamico tra ambiente, fisicità e simbolismi legati alle vite dei personaggi e alle loro psicologie, senza scadere nell’incompletezza, nel didascalico e nella restituzione scolastica di una sensibilità che, in mani più ispirate, avrebbe perso in levigatezza e acquisito in spessore.
(Whiteout); Regia: Dominic Sena; sceneggiatura: Jon Hoeber, Erich Hoeber, Chad Hayes e Carey W. Hayes dall’omonima graphic novel di Greg Rucka; fotografia: Christopher Soos; montaggio: Stuart Baird e Martin Hunter; musica: John Frizzell; interpreti: Kate Beckinsale (Carrie Stetko), Gabriel Macht (Robert Pryce), Tom Skerritt (Dott. John Fury), Columbus Short (Delfy), Alex O’Loughlin (Russell Haden); produzione: Warner Bros. Pictures, Dark Castle Entertainment; distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia; origine: Canada e USA, 2009; durata: 98’; web info: sito ufficiale.
