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Wolfman

Pubblicato il 28 febbraio 2010 da Angela Cinicolo


Wolfman

Blackmoor, villaggio tranquillo nei pressi di Londra. Lawrence, la pecora nera della famiglia Talbot, torna a casa dopo aver ricevuto una lettera da Gwen, la fidanzata di suo fratello, preoccupata per l’improvvisa scomparsa del futuro sposo. Purtroppo il suo arrivo coincide con il ritrovamento del corpo in fin di vita del fratello nei boschi vicino alla tenuta dei Talbot, un luogo che tutto il villaggio crede sia soggiogato da strane profezie religiose di cui sarebbe responsabile un gruppo di nomadi accampati con le loro folcloristiche carovane nelle vicinanze. A Lawrence resta, dunque, l’ingrato compito confortare il vecchio padre, sir John, che anni prima, in seguito alla tragica e misteriosa morte della madre in una notte di luna piena, l’aveva fatto allontanare mandandolo prima in un manicomio minorile, poi in America da uno zio. Sentendosi costretto a restare, il giovane, che nel frattempo è diventato un attore di grido, dovrà confrontarsi con gli oscuri ricordi che vengono da un passato che aveva provato in tanti anni a dimenticare. Una notte di luna piena decide di fare una perlustrazione nel bosco, ma nel tentativo di salvare una vittima dall’aggressione di una strana bestia, viene attaccato e morso al collo. Sebbene la ferita sia mortale, Lawrence si rimette in sesto e il taglio profondo si cicatrizza insospettendo gli abitanti del villaggio. Quello che il giovane non sa ancora però è che quel morso ha contagiato la sua natura umana e l’ha trasformato irrimediabilmente in una selvaggia creatura della notte, metà uomo e metà lupo. Si ritroverà così a lottare contro i demoni del male che aveva conosciuto nell’infanzia, sospeso tra la bella Gwen, innamorata di lui, e Frederick George Abbeline, un meticoloso poliziotto di Scotland Yard che indaga sul feroce assassino.

Resta deluso chi (si) aspettava da questo remake l’eleganza e le atmosfere del Wolf Man originale del 1941 diretto da George Waggner: questo film, infatti, rielabora la vicenda del licantropo più famoso della storia del cinema dando più attenzione alle scenografie e agli effetti speciali che non allo stile classico dei mostri sacri del cinema del’orrore targato Universal. La trama originale viene diluita, più che allungata, in una pseudo versione letteraria in salsa vittoriana, che trova nella narrazione la sua debole struttura e nel make-up la sua materia davvero poco consistente. Il plot sembra adeguarsi quindi a quel genere cinematografico gotico che comprende opere come Frankenstein di Mary Shelley di Kenneth Branagh o al più riuscito Dracula di Bram Stoker dell’autore Francis Ford Coppola. Ma paradossalmente puntando sulla tecnologia, non rinsalda il potenziale che plot e cast potevano intensificare e finisce per presentarsi come un horror-action destinato ai più giovani piuttosto che ai fan di un genere che sembra ritorcersi sempre più frequentemente su se stesso e sui suoi passi sicuri, che fatica a sperimentare o annaspa davanti a percorsi davvero autentici.

Sono passati 69 anni da quando il magistrale Lon Chaney Jr. prestò il suo volto e il suo corpo a un personaggio destinato a incidere la memoria collettiva di intere generazioni di cinefili e di amanti dell’horror, e la voglia di attualizzare un film di genere non è certamente una novità nell’attuale orizzonte cinematografico. Ma la creatura nata dalla penna dello sceneggiatore Curt Siodmak viene sorprendentemente razziata da una produzione indirizzata al mercato del blockbuster: l’uomo lupo ha perso la gentilezza dell’english man originale e il suo lato sinistro si concentra nella nemesi di un destino che lo insegue dal passato. Se Benicio Del Toro dà grandi dimostrazioni delle sue ineccepibili prove attoriali, confermando un talento malleabile senza limiti, certo lontano da quello sguardo malinconico di Lon Chaney jr., ma viene il sospetto che sia lo script a monte a volerlo così, sembrano in penombra gli altri attori: è difficile riconoscere in questo Hopkins quella perfidia oscura che lo aveva legato così indissolubilmente nel lontano 1988 ad Hannibal Lecter, così come è impresa ardua riscontrare un alone dark interessante in Weaving, nei panni di un uomo precedentemente coinvolto nel caso di Jack lo squartatore - e qui scatta l’errore cronologico con un’inesattezza che trova nella bieca volontà di contaminazione di genere il suo alibi e non il suo riscatto.

Certo vale la pena testare sul grande schermo la qualità, senza dubbio alta, del trucco dell’esperto Rick Baker, che dopo aver reso indimenticabile David Naughton, protagonista del gioiello di Landis, Un lupo mannaro americano a Londra, adesso rifà la faccia anche a Del Toro, che diventa tra le sue abili mani da artigiano specializzato uno dei mostri del nuovo cinema più terrificanti che potevamo augurarci. Si sposano bene a quelle zanne così incattivite le aggressioni violente nel film: spietati attacchi fino all’ultima goccia di sangue e brandello di carne, come pretende un qualsiasi slasher de’ nostri tempi, che divertono i meno sadici e spaventano i più delicati: l’immagine ruba la scena all’azione e cattura lo sguardo, complici anche un ritmo non troppo avvincente e altalenante e una virata della storia al sottotesto di un opaco sentimentalismo.


CAST & CREDITS

(The Wolf Man) ; Regia: Joe Johnston; sceneggiatura: Andrew Kevin Walker, David Self; fotografia: Shelly Johnson; montaggio: Dennis Virkler, Walter Murch; musica: Danny Elfman; interpreti: Benicio Del Toro (Lawrence Talbot), Anthony Hopkins (Sir John Talbot), Emily Blunt (Gwen), Hugo Weaving (Detective Aberline), Geraldine Chaplin (Maleva); produzione: Universal Pictures; distribuzione: Universal Pictures; origine: USA, 2010; durata: 102’


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