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Verso gli Oscar: WOLFWALKERS

Pubblicato il 18 aprile 2021 da Francesca Pistocchi
VOTO:


Verso gli Oscar: WOLFWALKERS

Dopo The Secret of Kells (2009) e The Song of Sea (2014), Tomm Moore si ripresenta per la terza volta agli Oscar con l’ultimo capitolo della sua trilogia irlandese: Wolfwalkers è un piccolo gioiello dell’animazione contemporanea, non tanto per l’universo visionario e immaginifico che è in grado d‘evocare sul grande come sul piccolo schermo, quanto per la semplice ma esaustiva profondità dei temi trattati, dei personaggi raffigurati, dei motivi fiabeschi lasciati finalmente liberi di manifestare il potenziale distruttivo e curativo che li contraddistingue. Il Leitmotiv è sempre il medesimo, ovvero quello dell’eterno scontro fra individuo e collettività, fra natura e civiltà, fra storia e cultura, fra il fascino discreto dei miti passati e il triviale squallore dei rituali prosaici con cui l’umanità uccide la sua stessa infanzia. Ammirevole è soprattutto la sincera attenzione che Moore dedica al sostrato magico e perturbante della quotidianità, senza sentirsi in dovere di occultare gli incantesimi dietro alle solite figure retoriche. Le creature generate dalla sua penna non sono affatto strane protesi del mondo adulto e delle sue caotiche infrastrutture, ma provengono direttamente da favole e leggende ad oggi quasi dimenticate – non tanto per scarsa conoscenza, quanto per il generale rifiuto di uno schema di valori in cui bene e male siano facilmente separabili e riconoscibili. In un’epoca nella quale si usa psicanalizzare perfino la strega di Biancaneve (magari donandole qualche affettuoso colpetto sulla spalla), Wolfwalkers equivale ad una boccata d’ossigeno perché mette in scena la bellezza, la sensibilità, il coraggio, ma non ha nemmeno paura di esibire l’altra faccia della medaglia.

Ormai giunto all’ultima tappa di un interminabile viaggio attraverso la terra natìa, il regista ci immerge nelle rosse foreste che circondano la grigia Kilkenny, spostando la lancetta dall’era paleocristiana di Kells agli oscuri tempi dell’occupazione inglese. Corre dunque l’anno 1650: il cacciatore Bill Goodfellowe e sua figlia Robyn giungono in Irlanda al servizio del famigerato Lord Protector. Quest’ultimo è una sorta di pericolosissimo incrocio fra il Governatore Ratcliffe e Claude Frollo: appena giunto nell’indiavolata cittadina, egli ordina ai suoi soldati di abbattere gli alberi, sparare ai lupi, domare i contadini e, dulcis in fundo, evangelizzare chiunque alla propria autorità. Da brava adolescente indisciplinata (poteva forse essere altrimenti?), Robyn non ci sta e trasgredisce, ad una ad una, tutte le regole che l’apprensione paterna, unita all’intransigenza del governatore, le impongono. Fuggendo nel bosco, la ragazza scavalca la barriera che separa ordinario e straordinario, scoprendo un universo parallelo dominato dalla fanciulla-lupo Mebh e dal suo fedele branco. Dopo un primo screzio, le due coetanee fanno amicizia, scoprendo fra l’altro di avere molto in comune: entrambe si ritrovano momentaneamente abbandonate ad una selvaggia solitudine, entrambe si sentono incomprese e fuori posto in una realtà divenuta inospitale. Entrambe possono dirsi orfane di fronte al caparbio timore in cui l’età adulta pare rinchiusa, entrambe sono alla ricerca di un’identità perduta (Robyn insegue suo padre, Mebh sogna di riabbracciare sua madre).

La nuova pellicola di Moore si articola come un incantesimo, mescolando il tempo del mito al tempo della Storia e giocando con gli elementi cardine di ogni saga che si rispetti: i personaggi possiedono nomi parlanti e ripetono sempre le stesse frasi, quasi si trattasse di esibire un’insegna o di pronunciare un motto. Wolfwalkers intende ricostruire un mondo da cui la magia non dovrebbe essere scacciata, esorcizzata o ridotta a timido spauracchio infantile. Perfino le illustrazioni si srotolano in una dimensione a sé stante, dimenticando gesti e movenze che le avvicinerebbero ad attori in carne ed ossa. Al contrario, le immagini acquistano credibilità proprio grazie al loro dinamismo iperbolico, al loro brio surreale, alla variopinta assurdità che ne coordina il flusso. Balzando leggera da un tetto all’altro, Mebh sembra davvero un lupo; sgusciando di casa in casa e di albero in albero, Robyn personifica tutto l’irrequieto smarrimento della prima giovinezza; schiacciato dai suoi timori, Bill cammina a capo chino e alza lo sguardo solo sulla figlia. Insomma, il regista imbastisce una vera favola, non si accontenta di imitarne semplicemente gli accenti: e anche noi, per una volta, non dobbiamo fingere di accontentarci.


CAST & CREDITS

(Wolfwalkers); Regia: Tomm Moore; sceneggiatura: Will Collins; interpreti: Honor Kneafsey (Robyn Goodfellowe), Eva Whittaker (Mebh Óg MacTíre), Sean Bean (Bill Goodfellowe), Simon McBurney (Lord Protector), Tommy Tiernan (Seán Óg), Maria Doyle Kennedy (Moll MacTíre), Jon Kenny (Ned), John Morton (taglialegna), Nora Twomey (Bridget), Oliver McGrath (Padraig), Paul Toung (pastore), Niamh Moyles (pescivendola); produzione: Cartoon Saloon, Melusine Productions; origine: Irlanda, Lussemburgo, Stati Uniti d’America, Regno Unito, Francia 2020; durata: 103’. Proposta: 4 stelle.


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