Woman in Gold
Il tema, delicato e misconosciuto, della pletora di opere d’arte trafugate dai nazisti nel corso del tempo, e mai restituite ai proprietari legittimi, era stato portato con discreta efficacia alla ribalta, nel 2014, da George Clooney col suo Monuments Men. Torna ora sull’argomento, sia pure con modalità profondamente diverse, Simon Curtis, regista inglese con vasta esperienza in film Tv e serie televisive, qui al suo secondo lungometraggio dopo l’interessante Marilyn del 2011. Ne scaturisce una pellicola di buon livello, che trova i suoi principali punti di forza in una messa in scena sobria ed elegante e nella presenza carismatica di Helen Mirren nel ruolo di protagonista. Woman in Gold, inoltre, si avvale di una struttura narrativa che mantiene la tensione emotiva su livelli sempre elevati, magari anche facendo appello, frequentemente e furbescamente, alla retorica dei buoni sentimenti, che agevola l’instaurarsi di un rapporto empatico con lo spettatore.
Il film si ispira alla vera storia di Maria Altmann, ebrea austriaca costretta ad emigrare in America durante le persecuzioni naziste, abbandonando tutti i possedimenti della sua facoltosa famiglia. Tra questi figurava anche il capolavoro di Gustav Klimt “Ritratto di Adele Bloch-Bauer”, in cui il grande pittore aveva celebrato e reso immortale la straordinaria bellezza di Adele, zia di Maria e da quest’ultima ammirata ed idolatrata durante l’infanzia. Il dipinto, lasciato in eredità alla donna, era stato successivamente recuperato e donato ad un museo di Vienna; quando, svariati anni dopo, Maria ne rivendica il legittimo possesso, prende il via un’epica battaglia contro il moloch della burocrazia austriaca.
Il tema della persona anziana che trova una ragione di vita nel riannodare importanti fili del suo passato e nel ristabilire verità e giustizia ricorda un po’ i contenuti e la struttura di Philomena di Stephen Frears del 2013; rispetto a quest’ultimo, però, Woman in Gold si presenta più patinato ed ammiccante, più preoccupato di catturare un coinvolgimento emotivo dello spettatore, più “dipendente” dal talento istrionico dell’attrice protagonista. Rispetto a quello scelto da Frears, quindi, l’approccio di Curtis appare decisamente più attento al mantenimento di una certa tensione drammatica ed all’eleganza formale della rappresentazione. Da quest’ultimo punto di vista, peraltro, appare decisamente funzionale la fotografia di Ross Emery che accompagna egregiamente la narrazione, differenziando con buona efficacia le scelte cromatiche di fondo tra i flashback, cupi ed opprimenti, ed il presente, più vivido e sereno.
Nel suo complesso, comunque, Woman in Gold si affida in larga parte al talento ed alla classe di Helen Mirren che tratteggia il suo personaggio con grande equilibrio e sensibilità, riuscendo a spaziare agevolmente tra le sfumature dei vari registri, dal drammatico al sentimentale all’ironico. Proprio l’interpretazione e la grande presenza scenica della Mirren, peraltro, riescono a mascherare alcune pecche di una sceneggiatura che a tratti risulta superficiale, sia nel delineare una realtà fatta solo di bianchi e neri sia nel proporre dialoghi a volte scontati e banali. Di buon livello, di contro, la messa in scena di Simon Curtis, che conferisce un buon ritmo alla narrazione, creando le giuste atmosfere e regalando alcune suggestive pennellate visive. Woman in Gold, in definitiva, si rivela un prodotto ben confezionato, che sa coinvolgere, sa commuovere, sa intrattenere con garbo e classe.
(Woman in Gold) Regia: Simon Curtis; sceneggiatura: Alexi Kaye Campbell; fotografia: Ross Emery; montaggio: Peter Lambert; musica: Martin Phipps, Hans Zimmer; scenografia: Jim Clay; interpreti: Helen Mirren, Ryan Reynolds, Daniel Bruhl; produzione: Origin Pictures, BBC Films; distribuzione: Eagle Pictures; origine: Gran Bretagna; durata: 109’.