X-men 3

Icaro è una delle summe possibili dell’aspirazione dell’Uomo all’alto, la spinta a quel “folle volo” che porta a bruciare, in una fiammata tragica ed epica, le ali di cera della nostra immaginazione. Icaro è il desiderio di visione, l’ambizione di accostarsi al sole per meglio poter contemplare la sfera iridescente di un mondo totalmente “altro”, ma anche per poter meglio osservare, da un volo d’angelo che ci tiene infinitamente lontani, le sciagure di un mondo vicino popolato da persone fin troppo normali.
Al suo fianco, all’inizio dell’avventura, c’è Dedalo che rappresenta il ponte tra l’eccezionalità del volo e la normalità di una vita “coi piedi per terra”, la transizione inevitabile che imborghesisce la spinta al superamento e che riconduce tutto a termini terrestri, umani, “conosciuti”.
Ed è Angel, uno dei nuovi personaggi introdotti nel terzo e, per ora, ultimo capitolo della serie X-men, a fare suoi questi elementi mitologici e a riproporceli con forza nuova nel rapporto ambiguo con quel padre che cerca disperatamente (e trova) la cura al gene mutante che vuole privare il figlio di quelle ali che necessariamente rimandano ad un destino fatale.
Un contrasto tra omologazione ad un mondo borghese e privo di slanci (se non quelli accettati nei piani di un’etica stantia che sa di compromesso) e la volontà di (ri)trovare se stessi e la propria posizione nel mondo in quella “diversità” necessaria che ci isola e ci tiene lontani.
Il problema della mutazione passa di grado, in questo episodio diretto da Brett Ratner, si innalza tra le categorie dell’ “essere” e del “dover essere” perché ai mutanti, cui ora viene finalmente concessa la possibilità di scegliere tra la realtà del proprio super potere e la normalità di una condizione borghese che di fa tutti uguali, si pone un sostanziale problema di auto consapevolezza. Fino a che punto la mutazione “costruisce” il mutante? E, rinunciando al proprio potere, il super eroe rimane davvero se stesso o non diventa, piuttosto, un’altra persona, magari interiormente più equilibrata, ma per sempre impossibilitata a provare l’ebbrezza di sorvolare, con le proprie bianche ali, palazzi e grattacieli?
L’aspirazione alla normalità, il sogno di ogni adolescente che sente, nel proprio intimo di non poter mai essere “come tutti gli altri” e che ancora ricorda, nel compromesso a cui sta scendendo col mondo adulto, quel sentimento di onnipotenza del suo io bambino, diventa, in questo film, una potente molla drammaturgica. Il mutante può scegliere il suo stato, può decidere se accettare una cura che lo riporti alla normalità o può cedere al patto faustiano che gli ridarà un pizzico di finta serenità rinunciando definitivamente alla propria anima. E quella proposta da X-men 3 è proprio la storia di un patto faustiano rovesciato dove Mefistofele promette un futuro anonimo a persone troppo dotate di un’eccezionalità tragica e dolorosa.
Il regista, che prende le redini della saga dopo Brian Singer, sembra dimenticare d’un solo colpo sia la visionarietà fumettistica dei due illustri predecessori, sia il loro sottile senso politico e sociale che si faceva inaspettatamente esistenziale nelle bellissime transizioni del secondo episodio.
Brett Ratner ha una concezione di cinema vecchio stampo: riprende e ripropone tutte le lacerazioni del bellissimo fumetto originale (l’opera più schiettamente filosofica partorita dal genio di Stan Lee) ponendosi in una posizione contenutisticamente ancillare e lanciando il proprio immaginario formale verso i fasti di un film baraccone dove alla profondità delle situazioni (cuore segreto dei primi due titoli della serie) si sostituisce l’affollarsi di situazioni, di effetti speciali e di personaggi (troppi).
Con un film dalle molte anime (l’avventura pura e semplice, la chiassosità delle esplosioni, il fascino illusorio del kolossal e il melò del segmento che vede la rediviva Jean Grey portare ai massimi livelli la sua mutazione divenendo onnipotente), Brett Ratner sancisce la sua adesione all’estetica di un film pirotecnico, tutte luci e molti botti. Ma la tragedia segreta dei personaggi che mette in scena è troppo forte per essere cancellata con un solo colpo di spugna e il ricordo dei due film precedenti troppo recente per permettere facili esemplificazioni.
(X-Men 3: The Last Stand); Regia: Brett Ratner; sceneggiatura: Zak Penn, Simon Kinberg; fotografia: Philippe Rousselot, Dante Spinotti; montaggio: Mark Goldblatt, Mark Helfrich, Julia Wong; musica: John Powell; interpreti: Patrick Stewart (Xavier), High Jackman (Wolverine), Hale Berry (Storm), Ian McKellen (Magneto), Famke Janssen (Jean Grey), Rebecca Romijn-Stamos (Mystique), Aaron Stanford (Pyro), Ben Foster (Angel); produzione: Lauren Shuler Donner, Ralph Winter, Avi Arad; distribuzione: 20Th Century Fox Italia, durata: 103’; origine: Usa, 2006
