Xbox & PS 3 - Naughty Bear

Era il lontano 1989 quando Peter Jackson, ancora lontano anche solo dal sospettare la possibilità di farsi produttore e regista de Il Signore degli anelli, sognò e realizzò quella che è stata, a posteriori, una piccola rivoluzione copernicana di due generi: il puppet-gore.
Il film che avverò questo piccolo incrocio di stili è Meet the Feebles, sit-com di stampo televisivo paradossale sin dal titolo, una pellicola (il digitale muoveva ancora i primi incerti passi) che, per sommo dell’ironia, riempiva i pupazzi di sangue, carne ed interiora. La dimensione splatter poggiava tutta sull’amplificazione grafica (la formula è di Marco Martani in suo ormai celebre saggio uscito su Cineforum) dell’esibizione delle ferite dei pupazzi che non serviva ad altro che a sottolineare uno degli snodi fondanti della pratica dell’enterteinment contemporaneo: la violenza. Jackson rimarcava (divertendosi ad onor del vero) come sia diventato impossibile, oggi come oggi, arrivare al cuore (o allo stomaco) del pubblico senza passare per l’esibizione di corpi martoriati e di colpi d’accetta su vittime inerti.
Sebbene nell’opera del geniale regista neozelandese manchino orsi, non ci è difficile vedere in Meet the Feebles uno dei possibili precursori di un prodotto come Naughty Bear che rimescola le carte del gioco di strategia guerresca con le dinamiche sadiche di film taglia-e-squarta alla Venerdì 13 o alla Halloween. In entrambi i casi persiste, infatti, l’accostamento di realtà apparentemente antitetiche come il mondo infantile dei pupazzi e quello adolescenziale dell’horror tout court. E utilizziamo non a caso la parola “apparentemente” per ricordare come di violenza grafica siano piene, sin dall’inizio, le fiabe della buona notte con le loro streghe, le loro famiglie disfunzionali e i loro lupi cattivi: tutt’altra direzione da quella assunta poi da Disney nel suo ridisegnare le esigenze dei bambini del nuovo millennio. Mentre, però, il giocattolino jacksoniano trovava la temperatura di fusione tra queste due opposte tendenze nell’ironia acidula di una storia di degenerazione umana all’interno dello star system (i personaggi sono tutti attori di un musical che vivono abiezioni di sesso e droga immediatamente dietro le quinte dello show), Naughty Bear cerca di fondare tutta la sua efficacia nell’esibizione della fantasia del gioco al massacro. Una quest impossibile, se ci si pensa un momento, visto che le opzioni possibili per un giocatore possono limitarsi sempre a poche combinazioni di opzioni di base.
In questo più vicino ai film della serie di La bambola assassina (anche lì un prodotto dell’infanzia con intenzioni chiaramente omicide), ma con minore ironia, Naughty Bear vive tutto nel suo concept che poggia su una rivoluzione copernicana delle convnenzioni del tipico gioco di guerra. Mentre in questo genere di prodotti, infatti, quel che conta è l’eliminazione fisica del nemico nel minor tempo possibile, in Naughty Bear è essenziale non uccidere, ma produrre il terrore nelle vittime designate (gli altri orsacchiotti colpevoli di escludere il povero protagonista da feste di compleanno e quant’altro). In questo senso assume valore emblematico l’ambientazione del gioco su un’isola, luogo di segregazione per eccellenza, già archetipo del genere horror-splatter per via della mancanza di reali e durature vie di fuga (si pensi a film recenti come So cosa hai fatto l’estate scorsa, ma anche a capisaldi del genere orrido- catastrofico come Gli uccelli peraltro omaggiato in uno degli scenari-livello del gioco stesso).
Per produrre il terrore non basta il possente ruggito del non più mite orsacchiotto (che resta, comunque, una delle opzioni possibili per accumulare i punti), ma occorre, come in ogni horror che si rispetti, sfinire la propria vittima prolungandone il più possibile l’agonia.
Sadico quant’altri mai, il gioco in questione, fonda, quindi, la propria efficacia essenzialmente su questa idea di fondo, limitandosi, nel corso dei vari livelli di gioco a variarla con poca fantasia.
Naughty Bear, che si rivela gioco dal caricamento abbastanza pesante nonostante l’incredibile semplicità grafica che lo contraddistingue (è pur sempre un’isola di orsacchiotti di peluche quella messa in scena con tratti di genuina arte naif), resta, quindi, ancorato al suo concept e si rivela piuttosto noioso per il giocatore che è entrato nel suo meccanismo apparentemente perverso.
Potrà piacere agli appassionati di cinema di un certo genere (non solo lo splatter, ma anche la sua presa in giro parodica), ma rivela già la mancanza di idee originali che si evidenzia nei ripetitivi sequel di prodotti di cassetta.
E in questa ripetizione della formula, attiva sin dai tempi di Psycho che ancora sconvolgeva il proprio pubblico, si perde anche quell’autoconsapevolezza che aveva ancora Peter Jackson venti anni fa e che per noi si è ribaltata nella veloce indifferenza che ci rende un poco noioso già il secondo livello di gioco.
Piattaforma: PS3 - Xbox 360
Genere: Shooter
Sviluppatore: A2M
Distributore: 505 Games
Numero giocatori: 1-4
Età consigliata: 12+
