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Zaho Zay - TFFdoc/INTERNAZIONALE

Pubblicato il 30 novembre 2020 da Francesca Pistocchi

VOTO:

Zaho Zay - TFFdoc/INTERNAZIONALE

La regista francese di origini malgasce Maéva Ranaïvojaona e il suo collega austriaco Georg Tiller debuttano, dopo la "prima" alla scorsa Viennale 2020, a questo Torino FF con un lungometraggio dalle tinte alquanto stravaganti: Zaho Zay (titolo internazionale The dice Killer si muove sui fili vertiginosi di una memoria mai rimossa – quella che la protagonista, guardia carceraria di una prigione sovraffollata in Madagascar, conserva del padre assassino. Il ricordo sembra essere una scusa fugace per tracciare, attraverso istantanee dai contorni sapientemente confusi, la fisionomia di un Paese abbandonato fra braccia altrui: Zaho Zay ( ("sono io"), quasi fosse un’antica formula rituale che i condannati ripetono per indicare la propria presenza (o assenza) nel mondo, sono le uniche parole utilizzate dalla ragazza in riferimento a sé stessa. Le bellissime (bisogna ammetterlo) istantanee che si susseguono sulla pellicola articolano visivamente il flusso di coscienza a cui si abbandona la voce narrante (che recita i monologhi scritti dal poeta malgascio Jean-Luc Raharimanan), qui fagocitata dalla figura paterna e dal timore di perdere i contatti perfino con le sue stesse fantasie. Così allo squallore della quotidianità tanto dietro le sbarre quanto nei desertici panorami africani, si sovrappone il totem genitoriale, trasformatosi in una sorta di mostro dalle mille teste. Quest’idra familiare e al contempo inquietante possiede innumerevoli volti, alcuni dei quali presi in prestito da un occidente coloniale solo in apparenza dimenticato: i registi giocano (fin troppo) sapientemente con i paradigmi del film noir e del western, risucchiando lo spettatore in un vortice criptico spesso e volentieri indecifrabile.

All’ordinaria miseria dell’oggi si sovrappongono i ritratti dei carcerati, ripresi in primissimo piano o rimescolati nel caos della folla; all’incessante viaggio del padre verso una meta ignota e fatale s’antepongono frammenti di realtà nei quali intravediamo sempre gli stessi oggetti: un coltello, dei dadi, un cappello, vari tessuti insanguinati. Questa poetica degli oggetti sembra, tuttavia, fine a sé stessa e il fil rouge della coscienza di Zaho Zay si sbriciola, lasciandoci insoddisfatti. Si ha quasi l’impressione che la trama dia alla luce una combinazione sempre diversa e pur sempre uguale. Per quanto la pellicola si impegni a farci sentire limitati nelle nostre capacità intellettive, il suo motivo principale appare ben chiaro anche all’osservatore più distratto: la separazione dalla figura genitoriale non può che corrispondere allo smarrimento della propria identità e della propria eredità umana. Così vediamo la ragazza perseguitata dal trauma che, in un tempo lontano e vicino, trafisse a metà la sua esistenza. La ascoltiamo contare ossessivamente fino a tre, la guardiamo impazzire di fronte ai volti senza volto dei prigionieri. La seguiamo ripercorrere le orme paterne e, forse, vendicarsi. Ma la ritorsione ha il sapore di una redenzione e così finiamo per assistere all’abbandono del francese, lingua in cui le immagini si dipanano, e all’inesorabile ritorno dell’idioma nativo – unica meta finale di quest’avventura nell’assurdo.

L’incubo messo in scena da Ranaïvojaona e da Tiller risulta concettoso, dispersivo, brutale solo a tratti. Unico elemento perturbante è il passaggio dal pianissimo della nostalgia verso un’infanzia spezzata al fortissimo delle recriminazioni tipicamente adulte, ma tale movimento si manifesta solo in un paio di fotogrammi e la sinfonia rimane piatta. Nell’insieme, la musica dal profondo composta tramite l’occhio della cinepresa e il fastidioso grillo parlante che ne glossa lo sguardo, sembra dissolversi nel mutismo generale: come direbbe la nostra protagonista, “un, deux, trois…” e poi, il nulla.


CAST & CREDITS

Zaho Zay -Regia e sceneggiatura: Maéva Ranaïvojaona, Georg Tiller; fotografia: Georg Tiller; montaggio: Barbara Bossuet; interpreti: Eugene Raphaël Ranaïvojaona, Michelle Eva Ranaïvojaona, Nabiha Akkari, Jean Aimé, Yvonne Michelle Ravelojaona, Monsieur Roboson, Fulgence Ranaïvojaona, Marka Ravelojaona; produzione: Subobscura Films, Tomsa Films, Katrafay Films; origine: Austria, Francia 2020; durata: 79’.


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