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2 giorni a Parigi

Pubblicato il 28 settembre 2007 da Fabiana Proietti


2 giorni a Parigi

Pericolo scampato. C’era il rischio che l’opera prima di Julie Delpy, attrice e sceneggiatrice, nota soprattutto per il ruolo di Céline nel dittico di Richard Linklater Prima dell’alba e Prima del tramonto, non fosse altro che una piatta riproposizione del suo personaggio più famoso.
Già il titolo, Two days in Paris, e l’incipit, sul treno che da Venezia corre verso la Ville Lumière, lasciavano presagire un ritorno all’atmosfera sospesa che aveva contraddistinto i fugaci incontri tra la parigina intellettuale della Delpy e il giovane americano malinconico interpretato da Ethan Hawke.
E se già Before Sunset aveva mostrato a dieci anni di distanza il cedimento di una formula fortunata, che trovava nella libertà dei dialoghi e nella complice improvvisazione dei giovani attori il suo punto di forza, un’ulteriore variazione sul tema sarebbe stata completamente inutile.
Invece, la fresca pellicola di Julie Delpy sorprende per l’ironia e il sarcasmo mostrati dall’autrice in fase di scrittura e nella gestione degli attori – per lo più non protagonisti, trovati tra i familiari e gli amici della regista – capaci di far dimenticare le tirate moraliste (e irritanti) dei dialoghi scritti per Linklater.

Due giorni a Parigi – progetto evidentemente sentito dalla Delpy, che cura da sé anche montaggio e musiche – sfugge alle trappole della commedia sentimentale deviando verso una satira di costume briosa e puntuale che non risparmia nessuno, né l’autrice - che con autoironia esagera e deride il suo cliché di belle noiseuse e alternativa saccente – né tantomeno i concittadini, sempre altezzosi e sprezzanti.
Il film affonda nello stereotipo, ma in maniera consapevole e pertanto efficace, così che lo sguardo obiettivo ed ‘esterno’ dell’attrice-autrice sul proprio paese colpisce per la precisione con cui coglie gli aspetti inediti della Parigi cinematografica.
Lo sguardo ’altro’ della protagonista è d’altronde la chiave della pellicola: si ironizza su quegli occhiali ingombranti che le nascondono il volto ma è proprio intorno a questa differenza di sguardo che ruota ogni tema sfiorato dal film: l’amore certo, ma soprattutto Parigi. Una città sempre molto frequentata dalla Settima Arte, ma utilizzata per lo più come sfondo romantico, come città-cartolina in cui ambientare – specialmente secondo i cliché statunitensi – memorabili storie d’amore. E che solo raramente mostra quei lati inquietanti e violenti che pure le appartengono – testimoniati a suo tempo da L’Odio di Kassowitz, o più recentemente in 36 di Marchand e Tutti i battiti del mio cuore di Audiard – confinati però ad un cinema drammatico o noir.

La frizzante pellicola della Delpy delinea invece lucidamente – ma in chiave di commedia, con uno humour amaro – i tratti spigolosi di una metropoli vittima della sua stessa celebrità: una Parigi fiera e altezzosa che, come la diva sul viale del tramonto Gloria Swanson/Norma Desmond, non accetta il crepuscolo degli anni d’oro, finendo col rimanere fuori dal tempo, astiosa verso gli stranieri,chiusa nel ricordo di una grandezza passata, oggi oscurata da tensioni e conflitti razziali.
E’ probabilmente questo sguardo sulla città il tratto più originale del film, ma lo scontro tra civiltà, in cui la mentalità del boyfriend americano Adam Goldberg diventa il termine di paragone per un confronto tra Vecchio e Nuovo Mondo, confluisce inevitabilmente in una guerra dei sessi.
La Delpy si difende anche su questo versante: racconta con invidiabile leggerezza le ansie di una generazione che nasconde precarietà sentimentale e disagi esistenziali dietro al sesso, più parlato che praticato, rappresentando efficacemente donne logorroiche e aggressive e uomini ipocondriaci e inadeguati, in perenne jet lag emotivo. Ma se il film si fosse limitato a questo non ci sarebbe parso così convincente; è invece il rapporto dialettico che si stabilisce tra la protagonista e il suo stesso habitat d’origine a staccare Due giorni a Parigi dal coro delle tante innocue commedie sentimentali. E ci sembra di poter tranquillamente affermare che il debutto nella regia di Julie Delpy – apprezzato sia a Berlino che al Tribeca – valga almeno dieci volte il nuovo, sopravvalutato, enfant prodige del cinema francese (ospitato anche a Venezia nelle Giornate degli autori) Emmanuel Mouret.


CAST & CREDITS

(Deux jours à Paris) Regia, soggetto e sceneggiatura: Julie Delpy; fotografia: Lubomir Bakchev ; montaggio e musiche: Julie Delpy; scenografia: Barbara Marc; costumi: Stephan Rollot; interpreti: Julie Delpy (Marion), Adam Goldberg (Jack) Alex Nahon (Manu) Jeannot (Albert Delpy) Anna (Marie Pillet); produzione: Christophe Mazodier, Julie Delpy, Thierry Potok ; distribuzione: DNC Entertainment; origine: Francia/Germania 2007; durata: 98’; web info: sito ufficiale


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