47 Ronin
I 47 Ronin rappresenta tutto ciò che c’è di sbagliato nel sistema produttivo Hollywoodiano, tutti gli errori possibili nel concepire e nel perseverare in un progetto che sin dalle sue origini rappresentava non poche lacune e perplessità.
Solo l’idea di operare un’incursione così dirompente in un genere tanto complesso e articolato come quello del Chambara (film di cappa e spada giapponesi, ndr) è un rischio altissimo che solo autori dotati di una fortissima personalità possono solo azzardare ad avvicinarsi, e non certo con la presunzione di piegare il genere a dei connotati occidentali, ma cedendo allo stesso le modalità rappresentative tipiche e magari inserendo uno sguardo ironico. Autori del calibro di Tarantino, per intenderci.
Il decidere poi di compiere questa operazione con quella che più che una leggenda è il centro nevralgico fondativo della storia del Giappone ha più della follia che dell’azzardo. Non tanto perché questa storia non possa avere un respiro transnazionale, quanto perché proprio nel suo incedere e nella sua stessa narrazione doveva essere fortemente connotata e rispettata. Trasformare questa leggenda in una sorta di arzigogolato fantasy non rende giustizia alla stessa, ma in un qualche modo proietta la pellicola in una sorta di limbo, in bilico tra il desiderio di narrare una storia con delle forti aderenze alla cultura giapponese e una messa in scena favolistica, le cui creature mostruose la fanno da padrone. Quindi all’intento di narrare un evento eroico dai toni realisti viene forzatamente appiccicata una dimensione ultra-terrena. Come se l’esigenza di mostrare un’abbondanza di effetti speciali abbia travalicato la stessa narrazione, compromettendola.
Se l’intento era di costruire un progetto analogo a quello di 300 e del suo seguito 300: L’alba di un impero (in questi giorni nelle sale), e trovare quindi una storia dai forti contenuti eroici e rimodularla secondo i canoni autoriali di un fumetto ( la cosa avrebbe ancora più senso se si riflette sul fatto che lo stesso Frank Miller, autore di 300, ha creato anche una grafic novel proprio sui Ronin), l’intento si mostra allora del tutto errato e ancora una volta fallimentare. 300 infatti funziona proprio grazie alla completa rottura con il realismo, dall’impianto visivo a quello narrativo, non si nasconde mai dietro una velleità storica. Al contrario 47 Ronin passa continuamente dal desiderio di rimanere in una narrazione realisticamente solida e in una rappresentazione troppo votata ad uno spirito fantastico e troppo devota al desiderio di spettacolarizzarla. In questo contesto la decisione di un 3D mai realmente incisivo, il cui senso si fatica ad intercettare, e un Keanu Reeves, protagonista, spaesato e completamente avulso, e in un qualche modo troppo vecchio per questo genere di ruoli. Dunque 47 Ronin ha tutti gli elementi canonici di un bockbuster di successo, ma che trova proprio nella sua creazione la fatalità dell’errore, un progetto fragile nei propositi che si sfalda nella realizzazione. Peccato, anche per la scelta coraggiosa e coerente del finale (chi vuole lo può leggere ovunque), che se in mille film è auspicata, in questo specifico caso si rivela fatale nel risultato.
Questo storia meritava altro per essere raccontata.
(id.); Regia: Carl Rinsch; sceneggiatura: Chris Morgan, Hossein Amini, ; fotografia: John Mathieson; montaggio: Stuart Baird; musica: Ilan Eshkeri; interpreti: Keanu Reeves (Kai), Hiroyuki Sanada (Ôishi), Ko Shibasaki Ko Shibasaki (Mika), Rinko Kikuchi (La Strega); produzione: H2F Entertainment; distribuzione: Universal Pictures; origine: U.S.A., 2013; durata: 118’