A Christmas Carol

“In questo piccolo libro di spiriti ho cercato di evocare lo spirito di un’idea, che non porterà malumore ai miei lettori né verso se stessi, né l’uno verso l’altro, né verso il periodo dell’anno, e neanche verso di me. Che esso possa visitare con piacevolezza le loro case, e che nessuno si auguri di esorcizzarlo.”
Il loro fedele e umile amico
C.D.
Dicembre 1843
Ebenezer Scrooge è nato nel 1843, ma non morirà mai.
Non morirà mai perché la sua storia – un’intera vita spesa all’insegna del profitto e dell’avidità che, grazie all’aiuto di tre spiriti (Natale passato, Natale presente e Natale futuro), riuscirà a virare in tempo verso l’amore, l’altruismo e la redenzione totale – ha il dono di possedere una struttura tale da consentire una messa in scena sempre diversa e al contempo sempre fedele ed efficace. A Christmas Carol passa agevolmente dal periodo del muto (la sua prima trasposizione cinematografica risale addirittura al 1908) al dramma di fine anni Trenta firmato Edwin L. Martin (1938); dal musical televisivo (2004) ai celebri pupazzi di pezza made in U.K. (The Muppet Christmas Carrol, 2002); dalla commedia anni ’80, con uno strepitoso Bill Murray nei panni del magnate televisivo Frank Cross (Scrooged, 1988), alle varie trasposizioni a cartoni animati sparse in tutto il mondo (tra le quali vanno sicuramente menzionate l’opera Disney del 1983, Mickey’s Christmas Carol, e quella di Stan Phillips, con Tim Curry che presta la voce ad Ebenizer, del 1997).
Questa sua estrema malleabilità e questo suo innegabile ed eterno fascino, hanno fatto sì che Scrooge ed il suo mondo divenissero terreno fertile nelle mani di Robert Zemeckis e delle sua ormai quasi ossessiva “poetica” del motion-capture nata nel 2004 con Polar Express (e che nel giro di appena cinque anni ha fatto passi da gigante).
Quest’ultima versione del racconto di Dickens risulta essere molto affascinante, perché capace di mescolare brillantemente nuovo e vecchio, di attrarre lo sguardo con sublimi immagini tridimensionali (spettacolare in tal senso il viaggio iniziale che la macchina da presa compie sui tetti e per le strade della piccola cittadina innevata) e allo stesso tempo di lasciare nella bocca dello spettatore un sapore antico e piacevole (rassicurante e confortevole come l’immagine di un Natale passato davanti al calore di un camino scoppiettante).
Infatti appena compaiono le prime immagini sullo schermo, allo spettatore più esperto ed accorto, sembra di rivivere le prime sequenze del film del 1951 con Alastair Sim protagonista (film a cui Zemeckis si ispira palesemente). Ciò soprattutto perché, proprio come all’epoca aveva fatto Brian Desmond Hurst, Zemeckis cerca di essere il più fedele possibile al racconto dickensiano, utilizzando parecchi dialoghi originali e ricreando il tutto basandosi sulle minuziose descrizioni degli ambienti presenti nel libro (non a caso il film inizia immergendo la macchina da presa nella primissima pagina del libro, romanticamente appoggiato su di un tavolino, nei pressi di una finestra innevata ed illuminata da una piccola candela).
Il tutto, questa volta, e probabilmente per la prima volta, viene impreziosito dal motion-capture (fantascientifica tecnica che consente di trasferire l’immagine di un attore reale all’interno di un computer e di donargli sembianze cartoonistiche) che, probabilmente grazie alle straordinarie doti di mimica facciale di Jim Carrey (veramente strepitoso e capace di “bucare” anche la barriera del digitale), non solo riesce finalmente a non rendere tutto asettico, freddo e impersonale, ma consente di trasportarci direttamente nel mondo di Ebenizer con estrema fedeltà, come mai era accaduto fino ad oggi. Finalmente Zemeckis è riuscito a trovare la giusta collocazione di questa tecnica (almeno per quanto riguarda la sua opera) che, se da un lato era sembrata fondamentale nell’opera di Peter Jackson per ricreare personaggi come Gollum o King Kong, in Polar Express e Beowulf aveva dato l’impressione di essere un pretesto privo di senso e poetica, svuotando gli attori reali di calore e sentimento e congelando tutto. Rendendo tutti gli esseri umani degli inquietanti manichini.
Questa volta invece, Jim Carrey riesce a rendere espressive persino le tavole di legno dell’abitazione di Scrooge. Infatti dona la vita con gusto e goliardia, non solo al protagonista della storia, ma anche a tre dei quattro spiriti che si presentano alla porta dell’avido magnate. L’orribile presenza stile Apprendista Stregone dell’oscuro fantasma del futuro, diventa tangibile e divertente, lo svampito sguardo del fantasma del passato, una fiamma in balia del vento e dell’eco della sua voce (davvero irresistibile in lingua originale) affascina e strabilia, l’opulenta e sfarzosa presenza del fantasma del presente riporta immediatamente in vita le pagine del libro. A ciò va aggiunta l’indiscussa bravura di altri due attori molto espressivi, quali Colin Firth e soprattutto Gary Oldman, due ottime spalle al servizio della genialità di Jim, con il quale (quasi incredibile a dirsi) spesso e volentieri instaurano un gioco di sguardi che va oltre la parola, donando vita, per la prima volta, agli occhi ricreati digitalmente.
Dopodiché, il resto viene ulteriormente valorizzato dai bellissimi dialoghi e dagli esilaranti giochi di parole creati più di 160 anni fa da Dickens (geniale ad esempio la battuta in cui dice: There’s more of gravy than of grave about you).
L’unico appunto che ci sentiamo di fare a Zemeckis, è forse quello di, in alcune scene, concentrarsi troppo sui trucchi digitali e sulle peripezie scenografiche dei propri personaggi, perdendo un po’ le fila del racconto e dando l’impressione di non credere fino in fondo nel carisma innato che la storia ha già di suo. Ciò lo porta ad inserire lunghissime e noiose scene in cui Scrooge viene catapultato nello spazio profondo o rimpicciolito e inseguito da un’enorme ciabatta intenta a scacciare un topolino che accidentalmente si trova sulla sua strada. Scene che danno l’impressione di essere state concepite più dai produttori Disney che da Zemeckis, nell’intento di rendere il film più piacevole per i bambini che, probabilmente, (specialmente i più piccoli) corrono il rischio di trovarsi spiazzati da una storia, che così come è stata girata, assomiglia più ad un film per adulti. Onestamente però ci sentiamo di affermare che sicuramente Charles Dickens, non ha bisogno di tali aiuti per essere compreso meglio. Il messaggio arriva, commuove e rallegra ad ogni età.
Per riassumere, quindi, un film che certamente non propone nulla di nuovo e che sicuramente non potrà mai essere paragonato al capolavoro del 1951, ma che sicuramente è una versione che offre spunti interessanti, godibile e indirizzato sia ad un pubblico adulto che giovanissimo (anzi consigliamo vivamente la visione di questo film soprattutto ai genitori che vogliono accostare i propri figli per la prima volta al cinema). Pur se immortale, Ebenizer ha bisogno, di tanto in tanto, di qualche piccola “trasfusione di sangue” per rimanere attraente ed attuale... e sicuramente il regista di Chicago è riuscito a donargli il miglior apporto di linfa vitale degli ultimi venticinque anni.
“Spiriti non ne frequentò più, e si mantenne fedele al principio dell’astinenza totale; l’opinione generale fu che se vi era uomo al mondo capace di celebrare degnamente il Natale, quello era lui. Che questo si possa dire spassionatamente di noi, di tutti noi! E così, come osservò Timmy, Dio ci benedica, benedica ognuno di noi!”
(id); Regia: Robert Zemeckis; sceneggiatura: Robert Zemeckis, dal celebre racconto di Charles Dickens A Christmas Carol del 1843; fotografia: Robert Presley; montaggio: Jeremiah O’Driscoll; musiche: Alan Silvestri; interpreti: Jim Carrey (Scrooge/Spirito del Natale Passato, Presente e Futuro), Gary Oldman (Bob Cratchit/piccolo Timmy/Marley), Colin Firth (Fred), Robin Wright Penn (Fan/Belle); produzione: Walt Disney Pictures e ImageMovers; distribuzione: Walt Disney Pictures; origine: USA, 2009; durata: 96’; web info: http://www.disney.it/Film/a-christmas-carol/.
