A single man

Ultimo film presentato in concorso alla 66° Mostra di Venezia, ma il primo per un nuovo regista prestato al cinema dall’alta moda, il Tom Ford ex direttore creativo della maison Gucci che, dopo aver approcciato il mondo dell’immagine dirigendo le campagne fotografiche delle sue collezioni, esordisce nel cinema con A single man, tratto dall’omonimo romanzo di Christopher Isherwood, testo centrale della cultura gay.
Nella vicenda del docente universitario di letteratura George Falconer, nel pedinamento di quella che dovrebbe essere la sua ultima giornata (ha deciso di suicidarsi entro sera) in seguito alla morte per incidente d’auto del compagno di una vita, Jim, ("16 anni insieme e ci staremmo ancora se non fosse morto !" grida George di fronte ai continui divorzi dell’amica Cherley) si legge la solitudine dell’esperienza omosessuale, quell’essere per la società sempre "a single man", un uomo solo, un uomo celibe, senza famiglia. Ma anche, allo stesso tempo, la vitale imprevedibilità dell’esistenza, quella che - secondo il motto per cui la vita è ciò che ti accade mentre sei impegnato a pensare ad altro - si rivela piena di incontri ancora da fare, di momenti che vale certo la pena di vivere.
Il film di Tom Ford costella di queste sequenze epifaniche il suo racconto minimalista, gettando brevi e improvvise fiammate lungo il cammino verso la morte del protagonista, un misurato e in prima battuta algido Colin Firth, dal cui sguardo trapelano però commoventi scintille di vita (e che proprio per questa interpretazione ha vinto la Coppa Volpi come Miglior Attore).
Apparentemente freddo, quasi compiaciuto dell’accuratezza scenografica persino calligrafica con cui restituisce l’America degli anni Sessanta e l’ambiente intellettuale accademico accanto a quello più propriamente borghese, A single man è in realtà un film molto più personale di quanto la sua compostezza non lasci pensare.
Ford assimila il discorso di Isherwood e traduce in una messa in scena minimale la scrittura piana dell’autore inglese per raccontare uno smarrimento emotivo che – in pieno panico da minaccia comunista (siamo nel 1962), – accomuna tutti i personaggi, dall’irreprensibile professore alla discinta amica Charley in piena crisi di mezz’età, sottoposta a un bilancio esistenziale a dir poco fallimentare (ma Julianne Moore dovrebbe cercare di allontanarsi da questo cliché della donna anni Sessanta con la bottiglia sempre in mano…), fino al giovane studente Kenny – interpretato da Nicholas Hoult, il bambino di About a boy – in cerca di un’identità, non solo sessuale.
È questa quest in qualche modo degradata ai rituali spogli della quotidianità il motore dell’opera di Ford, una ricerca ondivaga che guarda al binomio vita/morte: come l’albero per metà bruciato e per metà fiorito di un capolavoro sirkiano come A time to love a time to die, A Single Man riflette sull’intreccio di sentimento del lutto e istinto vitale, aprendosi a tratti su un baratro che appare sorprendentemente sereno e rassicurante, specie di fronte al controcampo offerto a questi personaggi ‘borderline’ dalla famigliola perbene dei vicini di Falconer, che non può non ricordare, dietro il praticello all’inglese e lo steccato bianco, il vuoto lacerante di Revolutionary Road, e i cui pochi sguardi empatici della moglie/madre Ginnifer Goodwin lanciati verso George lasciano aprire varchi su un altro dolore, scaturito da una medesima finzione.
A single man matura lentamente all’interno di un flusso narrativo senza picchi, che, fatta eccezione per l’incipit onirico, spiazzante rispetto al minimalismo quotidiano dell’opera, viene scolpito solamente dall’intensità emotiva dei violini sanguinanti di Abel Korzeniowski sul tema di Umebayashi (già con Wong Kar Wai per il capolavoro In the mood for love).
Eppure l’immagine sembra riuscire a trarre nutrimento da tanto rigore, illuminando improvvisamente il racconto con sequenze di grande intensità che si impongono nella mente dello spettatore al pari di quei frammenti di vita apparentemente banali – la seduttività di un incontro possibile, un bagno di notte nell’oceano, la frenesia di un ballo veloce – che esplodono come flash nella coscienza di George. Fin quando "lei" arriva.
Allora l’esordio cinematografico di Tom Ford, che da principio si fa notare – e come avrebbe potuto essere diversamente? – per un look ben curato e i meravigliosi abiti maschili, colpisce in realtà per la temerarietà dimostrata dal neo regista nel confrontarsi con un testo così pesante da ereditare, con un discorso esistenzialista dalle pretese assolutiste e, allo stesso tempo, per aver sviscerato un tema tanto intimo attraverso uno sguardo capace di trasfondere malinconia e accettazione, ribellione e incoscienza in ogni corpo o paesaggio, sfiorato, accarezzato, amato.
(A single man); Regia e sceneggiatura: Tom Ford, tratto dal romanzo A single man di Christopher Isherwood; fotografia: Eduard Grau; montaggio: Joan Sobel; musica: Abel Korzeniowski; interpreti: Colin Firth (George Falconer), Julianne Moore (Charley), Nicholas Hoult (Kenny), Matthew Goode (Jim); produzione:Fade to Black, Artina Films, Depht of Field; distribuzione: Archibald; origine: Usa, 2009; durata: 99’
