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AGNES UND SEINE BRUEDER

Pubblicato il 9 settembre 2004 da Giovanella Rendi


AGNES UND SEINE BRUEDER

Archiviati (si spera) i suoi problemi di rapporto con la madre (la scrittrice Gisela Elsner cui è dedicato Hanna Flanders, 2000) e con il padre (lo scrittore Klaus, la cui figura appare in Der alte Affe Angst, 2002), Oskar Roehler, uno dei cineasti più interessanti della Neue Welle del cinema tedesco post-riunificazione, sposta il suo asse di osservazione da sé al resto del mondo, per dedicarsi allo “studio dell’incapacità dell’uomo di venire a patti con la società che ha creato”. Tema tutto sommato non lontanissimo da quello delle sue opere precedenti, ma che ha il pregio di invertire il moto ossessivamente centripeto a favore di una struttura corale in cui gli eventuali elementi autobiografici si confondono nelle diverse vicende di tre personaggi, quello di Agnes, appunto, e dei suoi due fratelli.
Tutti e tre sono alla ricerca di una felicità che non tanto la società, quanto essi stessi si impediscono continuamente di ottenere con i loro errori di valutazione, che cercano di nascondere dietro le colpe degli altri. È il caso di Hans-Jörg, bibliotecario sessuomane perennemente deriso dalle donne (interpretato ironicamente dal sex symbol Moritz Bleibtreu), che giustifica le sue disfunzioni sessuali con il ricordo delle molestie perpetrate dal padre su Agnes (ma sarà poi vero?), mentre l’uomo politico di successo Werner non si rassegna al rifiuto fisico che la moglie prova per le sue avances, ma non fa nulla per nascondere gli aspetti peggiori della sua fisicità. Agnes, da parte sua, che come la Hannah di Woody Allen rispetto alle sue sorelle funge piuttosto da collante nelle vicende, un tempo felice padre di famiglia (nel titolo si rivela la sua ambiguità con il possessivo maschile seine) ha cambiato sesso per amore di una rockstar che lo ha invece da tempo dimenticato e fa la cubista in una discoteca. Suo è il destino più tragico e poetico, in un omaggio al Fassbinder di Un anno con tredici lune, così come era accaduto per Hanna Flanders, mai così vivo nella memoria dei cineasti di oggi (vedi Ozon) come nel ventennale della sua scomparsa.
Tutti sono colpevoli e allo stesso tempo innocenti, nella famiglia di oggi secondo Roehler: al dialogo amoroso si è sostituito il sesso come ossessione, e la sua assenza o l’incapacità di ottenerlo genera la sconfitta sia personale che sociale. Non mancano però aspetti grotteschi nella sua rappresentazione, come gli assurdi incontri dei sesso-dipendenti sulla falsariga di quelli degli alcoolisti anonimi, che le conferiscono una inaspettata leggerezza da black comedy, intesa alla Egoyan (dal titolo del suo secondo film, che in originale suonava significativamente Family Viewing), con cui condivide la rappresentazione di una società tecnologizzata continuamente mediata attraverso l’occhio di una macchina da presa, attraverso cui filtra e congela gli aspetti più dionisiaci, come il sesso che diviene asettico sul set di un film porno o i filmini amatoriali in cui il figlio maggiore riprende la più imbarazzante intimità di Werner.
La felicità, tuttavia, per alcuni si nasconde dietro l’angolo, e la speranza di un futuro migliore (anche se con un cadavere sulla coscienza) si riflette nell’uso di esterni luminosi e del colore che si accompagnano al consueto rigore dello stile.

[settembre 2004]

regia: Oskar Roehler
sceneggiatura: Oskar Roehler
fotografia: Carl F. Koschnick
montaggio: Juliane Lorenz, Simone Hofmann
musica: Martin Todsharow
interpreti: Moritz Bleibtreu, Herbert Knaup, Martin Weiß, Katja Riemann
produzione: X-Filme Creative Pool, WDR Bayerische Rundfunk, Arte
origine: Germania 2004
durata: 116’

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