Roma 2015 - Alaska
Delude, ahimè, dopo l’ottimo Una vita tranquilla, il nuovo lavoro di un giovane autore al quale tuttavia va riconosciuto di pensare in termini cinematografici le storie che vuole raccontare, in anni così compromessi dallo sguardo televisivo di un’intera generazione cresciuta davanti alla tv mentre i cinema chiudevano i battenti.
Molto buono è l’incipit, in cui Cupellini dimostra di saper gestire a meraviglia ambientazioni insolite e non italiane (se in Una vita tranquilla era la Baviera, stavolta è, almeno all’inizio, la Parigi dei Grandi Hotel o delle galere assiepate di stranieri di ogni colore di pelle), e raccontare diverse "Italie" in termini figurativamente inediti. La sua Milano e dintorni non somiglia a nessun’altra vista di recente sugli schermi italiani, e nasconde, dietro il lucore dei set fotografici dell’Alta Moda o dell’insana messinscena notturna delle discoteche, un malessere esistenziale capace di restarti addosso come pece appiccicosa, secondo una lezione assimilata da certo buon cinema europeo di respiro internazionale.
Poi qualcosa si inceppa, ed è proprio l’amour fou dei due protagonisti, una Astrid Bergès-Frisbey troppo piagnucolosa e un Elio Germano troppo irascibile, fumino e pasticcione, quel "troppo" che impedisce di affezionarcisi e di giustificare tutte le sfortune che i due si causano vicendevolmente, è proprio il loro amour fou, si diceva, che a un certo punto frana, scivola in un percorso cieco, perde di interesse, e si allunga come un brodo che perde sapore, secondo una struttura circolare il cui congegno nessuno, né gli sceneggiatori, né gli attori, né il regista, sono stati in grado di sostenere per tutta l’arcata del racconto tanto da smorzarne irrimediabilmente una conclusione che suona inutile, ingiustificata, non necessaria. Mai, nemmeno per un momento, qualcuno si è preoccupato di farci credere che lei sia innamorata di lui, né il motivo per cui lui combini tanti casini per amore di lei. Deboli e appena abbozzati sono tutti i personaggi di contorno (specialmente uno svogliato Valerio Binasco), tasselli che dovrebbero oliare l’ingranaggio del racconto, e finiscono invece per sottrargli incisività e congelarlo in quell’Alaska del titolo, tomba di sogni insani e velleitari suggeriti da un bisogno di affermazione che poteva avere un senso nei rapaci anni ’90 o nei primissimi del nuovo secolo, più che negli attuali tempi di crisi economica, dove ormai più nessuno è tanto ingenuo da credere all’automatismo di guadagni facili e programmati.
Una storia di degrado e squallore morale che il finale (spoiler: lieto, ma a metà) non riesce a redimere, troppo scritta a tavolino, e portata avanti con tanta scarsa convinzione da costituire un passo indietro preoccupante, ma si spera non irrimediabile, per un regista dimostratosi in passato capace di ben altra sostanza.
(Alaska); Regia: Claudio Cupellini; sceneggiatura: Claudio Cupellini, Filippo Gravino, Guido Iuculano; fotografia: Gergely Pohárnok; montaggio: Giuseppe Trepiccione; musica: Pasquale Catalano; interpreti: Elio Germano, Astrid Bergès-Frisbey, Valerio Binasco, Marco D’Amore, Elena Radonicich, Roschdy Zem, Paolo Pierobon, Pino Colizzi; produzione: Indiana Production Company, Raicinema, 247 Films; distribuzione: 01 Distribution; origine: Francia, Italia, 2015; durata: 123’