Alice in Wonderland

L’immagine più bella e significativa di Alice in Wonderland è senza alcun dubbio quella del castello della Regina di cuori. Un castello in tutto e per tutto identico a quello della Disney che, anziché essere circondato da luci paradisiache e fatine incantate, stile Campanellino, è perennemente oppresso da scurissime nubi plumbee e “protetto” da un fossato pieno di putride acque scure e teste mozzate. Teste che un tempo appartenevano agli strambi sudditi di Wonderland, barbaramente uccisi dalla capricciosa (e capocciona) sovrana. Un’immagine molto forte se si pensa alla tradizione disneyana. Aspetto ancor più significativo se si mette a confronto con tutto il “male” che la fabbrica dei sogni ha rappresentato per il folletto di Burbank nel corso della sua carriera. Infatti, bisogna ricordare che Tim Burton ha mosso i primissimi passi nel cinema proprio tra le mura degli studi dello zio Walt. Qui aveva partecipato, tra gli altri, alla realizzazione di alcuni disegni per i film Taron e la pentola magica e Red & Toby nemici amici, ma dopo alcuni anni in cui tutti i suoi lavori venivano scartati perché considerati troppo macabri e inadatti a un pubblico di non adulti, Burton se ne era andato senza troppi rimpianti e fortemente frustrato nello spirito. Tornare trent’anni dopo (anche se con modalità differenti, con la Disney aveva lavorato in Nightmare before Christmas e Ed Wood) richiamato a gran voce e potersi permettere di stravolgere il simbolo più famoso della storia della settima arte, ci dice esattamente cosa rappresenta ormai Tim Burton per il cinema mondiale. Un simbolo, un marchio che attira orde di fan da tutto il globo e che probabilmente ad oggi è l’unico regista a godere di una fama tale da poter essere paragonato agli attori, Star di Hollywood. Purtroppo però, questa è probabilmente l’unica cosa del film di Burton, insieme alla straordinaria interpretazione di Helena Bonham Carter, a risultare pienamente riuscita. Il resto ha subito troppe contaminazioni disneyane. Per la prima volta un film di Burton non inizia con i suoi soliti travelling all’interno dei titoli di testa. Quest’ultimi sono totalmente assenti. Non c’è il solito sunto per immagini che proietta immediatamente lo spettatore in una realtà altra e lo predispone alle immagini che lo travolgeranno. Probabilmente perché non ha sentito il bisogno di introdurre e anticipare un universo che è già conosciutissimo in tutto il mondo e non voleva così anticipare la sua re-immaginazione di Wonderland. O più plausibilmente perché nello script si sente molto la mano della sceneggiatrice de Il re leone e Mulan, Linda Woolverton. Molto più della mano del filmaker.
Un regista come Tim Burton, non poteva che cimentarsi con un’opera del calibro di Alice, poiché sin dai suoi inizi è sempre stato ossessionato dalla volontà di portare sullo schermo tutto ciò che gli passava per la mente in completa libertà. Tutto senza mai badare alla trama, alla sua funzionalità in essa o alla necessaria e verosimile connessione tra le varie scene. Lo stesso identico modo in cui procede il romanzo dello scrittore nato a Daresbury. Tutto ciò che noi leggiamo, infatti, non è dettato da una trama ben precisa, ma da un concatenarsi di eventi straordinari nati dall’incontro con luoghi e personaggi fantastici. Il nonsense, il gusto per lo strampalato e il sottile divertimento che smuove l’animo dello spettatore leggendo di cose fuori dall’ordinario e dal precostituito, sono il vero motore di Wonderland e della sua protagonista. Allo stesso modo per Burton, l’impatto visivo ed emotivo delle immagini da lui create devono essere più forti ed interessanti per il suo spettatore, della storia in sé. È singolare notare come, proprio nel momento in cui il suo cinema si è andato a confrontare con quello che, insieme a Poe, è stato il suo autore di riferimento, abbia sentito il bisogno di avere una trama che collegasse le immagini del mondo di sotto. Che le regole (maturate nel corso degli anni) della fabbrica dei sogni abbiano imbrigliato la fantasia sfrenata del folletto di Burbank? Purtroppo è ciò che sembra. Va anche detto, però, che probabilmente le sue tematiche, i suoi disegni di sensibili “mostri” malinconici hanno molte più affinità con i torbidi e claustrofobici universi del subconscio, descritti da Poe e da Washington Irwing. Il cineasta americano è infatti con Vincent, Edward mani di forbice, Nightmare Before Christmas e La sposa cadavere che ha dato il suo meglio, con personaggi e luoghi direttamente o indirettamente legati ai due autori americani.
In Alice in Wonderland, Burton dimostra di essere innamorato di personaggi come la Regina di cuori, il Cappellaio matto e il Leprotto bisestile, perché outsider tipici del suo cinema. La Regina in realtà vorrebbe solo essere amata così come lo è sua sorella. Ma non è in grado di comportarsi diversamente da come fa, segnata nel carattere, probabilmente, dall’immensa testa che sovrasta il suo corpo minuto e che deve essere stata fonte di sofferenza sin da piccola. La vera protagonista della pellicola è lei e quando Burton può soffermarsi sulle sue azioni, si percepisce che lo fa divertendosi. Alla fine anche lei, come tutti i suoi emarginati, non vorrebbe far altro che integrarsi, scegliendo però una strada alternativa rispetto ai suoi predecessori. Ovvero quella dell’imposizione e del comando. Chiunque ha qualche difetto fisico può far parte del suo regno, gli altri saranno giullari di corte, finché un qualsiasi comportamento irritante non la "costringerà" ad ordinarne la decapitazione.
Il Leprotto, nella sua follia è riuscitissimo. Si muove, parla e agisce per nonsense. È dominato dal caos più profondo ed è forse il personaggio che più rispecchia il mondo di Carroll. Il Cappellaio invece è quasi irritante. Diventa una sorta di paladino della giustizia completamente in sintonia con Alice e le sue azioni. La sua follia è sporadica, quasi dettata da una necessità di script, più che da una caratteristica vera e propria della sua personalità. Inoltre Depp lo interpreta a metà strada tra Willy Wonka e Jack Sparrow, dando allo spettatore una perenne sensazione di ridondanza e noiosa mancanza di fantasia. Probabilmente il duo Burton – Depp è giunto a un momento critico, in cui deve dividersi per un periodo abbastanza lungo, per poter ritrovare quella chimica che rendeva speciale ogni loro collaborazione.
In poche parole, le aspettative erano moltissime e il risultato non va che poco oltre la sufficienza. L’operazione Burton + Carroll = Capolavoro, non si è dimostrata essere un assioma, bensì un calcolo da rivedere più e più volte per trovare dov’è che non funziona. Dov’è che manca Burton.
(id.); Regia: Tim Burton; sceneggiatura: Linda Woolverton dai romanzi di Lewis Carroll Alice’s Adventures in Wonderland e Trough the Looking Glass; fotografia:Dariusz Wolski; montaggio: Chris Lebenzon; musiche: Danny Elfman; interpreti: Johnny Depp (il Cappellaio matto), Helena Bonham Carter (la Regina di cuori), Mia Wasicowska (Alice), Anne Hathaway (la Regina bianca); produzione: Walt Disney Pictures, Team Todd, Roth Films, Zanuck Company, Team Burton Productions; distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Italia; origine: USA 2010; durata: 110’
