ALIENATIONS
Alienations (Alienazioni), ma forse altri mille titoli avrebbero potuto racchiudere il senso di questo documentario. Malek Bensmail, regista, dedica il suo primo lavoro cinematografico al padre, uno psichiatra algerino che nella città di Costantine ha dedicato una vita intera alla cura dei malati di mente. È chiaro, sin da subito, che il senso di questo lavoro non sta nell’elogio di un padre scomparso, ma quanto nel voler raccontare, far conoscere ed interpretare una realtà, quella algerina (che è poi una delle tante verità dell’Africa) attraverso una lente prospettica diversa e multiforme. I malati di mente con i loro disagi, la struttura che li ospita con medici impotenti sono soltanto lo specchio di un’esistenza difficile, ingiusta, quella di un popolo che non riesce ad emergere nella complessità di credenze, usanze e tradizioni religiose che finiscono per essere uno tra i più importanti problemi di una civiltà dove la medicina, come scienza esatta, lotta non solo contro la malattia, ma anche contro la superstizione e le credenze popolari. Il documentario è girato nell’ambiente claustrofobico del manicomio e le uniche riprese in esterno ci raccontano di panoramiche inquietanti, dove lo sguardo si perde tra le tante case sgangherate sistemate ai piedi di montagne imponenti, attraversate da ponti precari che dondolano al vento, sospesi nel vuoto. Altra scelta mirata del regista è quella di far parlare per lo più uomini che nel loro disagio mentale affrontano anche temi politici importanti. C’è la preoccupazione per la guerra in Iraq, l’osservanza di un Corano che vorrebbe tutti fratelli di un mondo capace di rivolgersi ad un solo Dio. Le uniche tre figure femminili portate sullo schermo vivono nella disperazione e in un disagio causato solo dal loro essere donne. Non parlano di politica, ma di violenze mentali e fisiche, del desiderio di un lavoro come speranza d’indipendenza. Le donne si raccontano nella povertà e sembrano incapaci di pensare oltre i loro problemi quotidiani. Un microcosmo quello del manicomio dove niente sembra essere diverso da quello che accade all’esterno, un’osmosi perfetta tra la vita dei malati di mente e la normalità. Un messaggio preciso che non cerca soluzioni, un documentario che non vuole tracciare una strada di speranza, non esistono eroi, e l’unica colpevole sembra essere la società vittima della propria esistenza.
[aprile 2005]
regia: Malek Bensmaïl sceneggiatura: Malek Bensmaïl fotografia: (betacam) Malek Bensmaïl montaggio: Mathieu Bretaud suono: Hamid Osmani musica: Phil Marbeuf, Markunda Aurès (canti chaoui) produzione: Gérald Collas per Institut National de l’Audiovisuel (Francia) durata: 105’ origine: Francia 2003