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Alla deriva

Pubblicato il 18 agosto 2007 da Andrea Esposito


Alla deriva

Open Water era un interessante film di tensione a basso costo, dallo stile asciutto e cronachistico, che raccontava la tragedia di una coppia fatalmente dimenticata nell’oceano dall’imbarcazione su cui era a bordo. In balia delle onde, a rischio d’inedia e minacciati dalla presenza di squali, i due tentano disperatamente di sopravvivere sperando nell’arrivo dei soccorsi. Ora nelle sale arriva Adrift, seguito spurio, abbinato ad Open Water in fase distributiva, per una chiara operazione di marketing. L’accostamento è però giustificato dalle numerose similitudini che si intessono tra le due pellicole. Qui i malcapitati sono un gruppo di amici che decidono, in mare aperto, di scendere dalla barca per un bagno nell’oceano. Ma il proprietario dimentica di tirare fuori la scaletta e non sono più in grado di tornare su. La molla propulsiva della situazione drammatica è quindi questa sbadataggine. Da un piccolo errore ha origine la tragedia. Da quel momento in poi il film cambia drasticamente ritmo e la situazione precipita in una drammatica lotta per la sopravvivenza.
Se in Open Water l’orrore era principalmente spaziale – il pericolo si annidava nel fuoricampo, nell’esterno dell’inquadratura: lo squalo, invisibile per buona parte del film, e l’incommensurabile vastità dell’oceano – in Adrift è quasi esclusivamente di natura temporale. Si capisce che i personaggi devono farcela da soli e non si può contare sul deus ex machina. Il nemico è il tempo che scorre e fiacca le resistenze. Non si aspetta nessun soccorritore esterno e non c’è niente intorno né sotto di sé. Un niente che coincide sic et simpliciter con il lutto: uscire dal cerchio significa affondare nel grembo mortale dell’oceano (esemplare in questo senso la suggestiva sequenza dell’annegamento di Michelle).
Come conseguenza lo spazio subisce una contrazione: tutto si gioca nel circolo chiuso dei personaggi, grottescamente vicini alla barca su cui tentano con tutte le forze di risalire. Come e più di Open Water il film diventa così uno studio in vitro del comportamento umano: tra crisi di nervi e aggressioni psicotiche, l’orrore vero diventa il disvelamento della natura umana. Le relazioni precipitano, i conflitti arrivano rapidamente – forse anche troppo, complici dialoghi spesso sopra le righe – al parossismo. Ma il film si ritrae rapidamente da questo crescendo di follia, e manca di calcare la mano sulla psicologia e sui comportamenti più eccessivi dei personaggi. Una svolta moralistica (evidente nel finale, quando un personaggio si ‘riscatta’ dai suoi errori attraverso il sacrificio) che immiserisce la forza espressiva del film. Nonostante ciò, Alla deriva riesce comunque a salvarsi dall’appiattimento e a conservare l’efficacia della sua messa in scena, grazie ad una discreta capacità di riecheggiare i grandi temi dell’amore e della perdita, e di compendiarli in un’intensa orchestrazione da tragedia.


CAST & CREDITS

(Open Water 2: Adrift) Regia: Hans Horn; sceneggiatura: Adam Kreutner e David Mitchell; fotografia: Bernhard Jasper; montaggio: Christian Lonk; musica: Gerd Baumann; scenografia: Frank Godt; interpreti: Susan May Pratt (Amy), Richard Speight Jr. (James), Niklaus Lange (Zach), Ali Hillis (Lauren), Cameron Richardson (Michelle), Eric Dane (Dan); produzione: Orange Pictures, Peter Rommel Productions, Shotgun Pictures, Universum Film; distribuzione: Eagle Pictures; origine: Germania, 2006; durata: 95’; [sito ufficiale->www.open-water-2.de


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