Amber, Claudia, Sasha. Tre osservazioni di lungo periodo - Berlino 2020
In gergo si chiamano “osservazioni di lungo periodo”, documentari che vedono al centro uno o più personaggi, le cui vicende biografiche vengono riprese in un arco prolungato di tempo. Senza stare a scomodare il caso più estremo di tutti, ovvero Die Kinder von Golzow (I figli di Golzow), protrattosi per quarantasei anni (fra il 1961 e il 2007, fra la DDR e la Germania riunificata, Golzow è un paesino del Brandeburgo) sono molti i documentari che ricorrono a questa modalità: il regista sta appresso a una o più persone, seguendole nella vita quotidiana e osservandone le trasformazioni nel corso del tempo.
Nella sezione Panorama Dokumente la Berlinale quest’anno presenta tre interessanti osservazioni di lungo periodo, che abbracciano un periodo abbastanza simile, ossia all’incirca due/tre anni, tre film di sicuro livello, due diretti da registe e uno da un regista, due molto simili perché incentrati su personaggi con problemi di identità sessuale. Uno di questi s’intitola Always Amber, dal nome della ragazza al centro del racconto, un racconto che si dipana fra il 2016 e il 2019. La vicenda si svolge a Stoccolma e alterna, in parallelo, un racconto cronologico sulla ragazza e alcune sue sedute da una psicologa tutte tenutesi nell’arco di qualche mese in vista dell’ottenimento di una diagnosi che al termine del trattamento, con grande soddisfazione, la ragazza otterrà davvero e che suonerà "non binary gender dysphoria”, cioè un disturbo disforico di chi ritiene di non poter ricondurre la propria identità sessuale al classico sistema binario maschio/femmina, al punto che quando, fin dall’inizio, la psicologa chiede ad Amber con quale pronome personale preferisca essere apostrofata, Amber risponde con “loro”, identità multipla dunque. In realtà il documentario era partito con l’osservazione di Amber e dell’amico/amica Sebastian; dopodiché a seguito della relazione fra Amber e Charlie, altra/o adolescente dall’identità sessuale indefinita l’amicizia fra i due si raffredda, e il film finisce per concentrarsi quasi esclusivamente su Amber, anche se poi, verso la fine, le amiche si riavvicinano in occasione della parata del CSD (Christopher-Street-Day). Amber è figlia di una coppia mista: la madre è svedese e il padre è, anzi era, italiano originario de L’Aquila, lo vediamo in alcuni "family movies" che ne documentano un qualche talento musicale e da un certo punto in avanti la malattia che se lo porterà via. Niente che neanche lontanamente faccia immaginare che la perdita del padre ovvero una qualche disfunzionalità familiare abbia condotto alla non omologazione sessuale di Amber. E questo, sul piano del messaggio, fa molto piacere, perché si respira un’aria di assoluta normalità nella descrizione della vita o, comunque, di alcuni momenti della vita di Amber: particolare rilievo, oltreché alle sedute dalla psicologa, viene dato agli appuntamenti e agli incontri con Charlie e con gli amici, alle feste e al continuo trattamento del corpo, in modo speciale alla incessante trasformazione dei capelli. Sul piano formale, oltre a quanto già detto in merito al ricorso a materiali video dell’archivio familiare, il film si regge sulla compresenza di riprese attraverso videocamere professionali da parte delle due registe titolari del progetto (Lia Hietala e Hannah Reinikainen) e le riprese attraverso la telecamera del cellulare, con automatiche modifiche del formato. Il cellulare, peraltro, è elemento essenziale del film, poiché una parte imprescindibile della comunicazione di Amber avviene attraverso di esso, puntualmente inquadrato.
Il secondo documentario, sul piano formale forse il più tradizionale, è nell’insieme certamente il più delicato e il più commovente s’intitola Petite fille, è di origine francese ed è diretto da Sébastien Lifshitz un regista (l’unico maschio) molto celebre non solo come documentarista, ma anche come autore di film di finzione, molti, sia gli uni che gli altri, incentrati su questioni gay, gender etc. (alcuni dei quali distribuiti anche in Italia: Quasi niente, Wild side, Plein sud - Andando a sud), grazie ai quali ha accumulato nel corso degli anni numerosissimi premi nei festival principali (Berlino, Locarno, Cannes, ma anche César in Francia). La protagonista di questo film è Sasha, un ragazzino di otto-dieci anni che si sente una bambina, una bambina nel corpo di un maschietto, quindi anch’esso/essa affetta da gender dysphoria, come gli/le diagnosticherà puntualmente l’ottima psicologa del film. Anche in questo caso, individuata ben presto la questione, i genitori e i fratelli si segnalano per sensibilità e gentilezza, l’unico ostacolo da superare è la scuola dove mancano con tutta evidenza le competenze per affrontare la questione. Ma grazie alla pazienza della madre, alla disponibilità della psicologa si arriva al termine del film a un – quanto meno momentaneo – happy end: a Sasha viene permesso di iniziare il terzo anno delle elementari come “alunna”, quindi vestendosi in tutto e per tutto come una bambina, anche se l’esclusione dalla scuola di ballo, da parte della nuova insegnante di origine russa, fa capire che il percorso di accettazione da parte della società è costellato di continui ostacoli che possono presentarsi da un momento all’altro. Né la madre, autentica coprotagonista del documentario, fa mistero delle preoccupazioni che l’affliggono pensando a cosa succederà alla figlia quando entrerà in età adolescenziale, si innamorerà etc. Il film è, come si diceva, particolarmente tenero e delicato, anche in grazie della straordinaria espressività di Sasha. Colpisce altresì la disponibilità di famiglia e istituzioni ad accettare la presenza della macchina da presa anche a fronte di situazioni particolarmente delicate sul piano identitario e della privacy.
Il terzo film, targato Austria, coprodotto non a caso da Ulrich Seidl e diretto da Lisa Weber s’intitola Jetzt oder morgen (Ora o domani), un titolo che è tutto un programma perché allude all’incoercibile tendenza alla dilazione, a procrastinare ogni e qualsivoglia decisione su cosa fare della propria vita. L’osservazione è dedicata a un piccolo nucleo familiare composto da Claudia (la protagonista), una ragazza adesso ventenne, ma che di anni ne aveva diciassette quando è iniziato il progetto, allorché essa (giovane madre, era rimasta incinta all’età di quattordici anni) sembrava aver concepito l’idea di arruolarsi nell’esercito, decisione, come tutte le altre concepite nel corso del tempo, che poi verrà scartata. Oltre a Claudia il film è incentrato sul suo nucleo familiare: la madre, il fratello, il bambino appunto, i cui compleanni (tre, quattro, cinque anni) punteggiano il trascorrere del tempo nel corso del documentario, promettendo una qualche potenziale forma di sviluppo. Gli adulti di questa famiglia presentano invece tutti tratti comuni ovvero vivono praticamente quasi tutto il giorno in casa, senza fare nulla. Accarezzano qua e là qualche progetto, ma poi non succede niente. Il documentario è proprio la descrizione di questa sostanziale stasi del tempo, di un gruppo di individui che non ha il minimo spirito di iniziativa, che si appaga totalmente, senza nutrire alcun senso di colpa, nel servirsi spudoratamente dei servizi sociali che permettono loro di sopravvivere, di nutrirsi, di comprare i beni di prima necessità. La regista, qua e là, compare di persona o si fa sentire come voce off, a testimoniare una paradossale forma di solidarietà, o comunque rifiutando qualsivoglia atteggiamento di denuncia o di indignazione, d’altra parte sarebbe impensabile che una regista si accompagni per tre anni a una persona o a un gruppo di persone solamente per denunciarli. Viene dunque da pensare che Claudia & co rappresentino, agli occhi della regista e della crew nel suo insieme (nei credits, alla voce regia, Lisa Weber ha coinvolto la sua direttrice della fotografia, il montatore etc. a segnalare il carattere collettivo del progetto) non vogliamo arrivare a dire un modello sociale di opposizione al principio capitalista della prestazione, certamente lo spaccato di una comunità paradossalmente salda, al punto che lo spettatore, all’inizio profondamente irritato da personaggi che, fin dall’aspetto fisico, fanno ben poco per promuovere l’immedesimazione, finisce per sviluppare una qualche assurda empatia per questi individui, in parallelo a quanto probabilmente è successo alla regista stessa.
I tre documentari testimoniano, se ancora ce n’era bisogno, che la realtà “trovata” presenta talvolta più spunti della realtà “inventata”. Talora il “finden” è più interessante dell’"erfinden", come si direbbe in tedesco.
(Always Amber); Regia: Lia Hietala, Hannah Reinikainen; fotografia: Lia Hietala, Sara Tisner Lindstedt; montaggio: Lia Hietala, Anton Hemgren, Charlotte Landelis; interpreti: Amber Mastracci, Sebastian, Oliver, Luciano Mastracci, Alma Mastracci; produzione: Story AB, Stoccolma; origine: Svezia 2020; durata: 76’. Proposta: 3 stelle.
(Petite fille); Regia: Sébastien Lifshitz; sceneggiatura: Sébastien Lifshitz; fotografia: Paul Giulhaume; montaggio: Pauline Gaillard; produzione: AGAT Films & Cie Parigi; origine: Francia 2020; durata: 85’. Proposta: 3 stelle.
(Jetzt oder morgen); Regia: Lisa Weber; sceneggiatura: Lisa Weeber, Roland Stöttinger; fotografia: Carolina Steinbrecher; montaggio: Roland Stöttinger; produzione: Takacs Filmproduktion, Vienna origine: Austria 2020; durata: 89’. Proposta: 3 stelle.