American Hustle - l’apparenza inganna
Una volta Francis Ford Coppola, in un incontro col pubblico durante una delle prime edizioni del Festival del cinema di Roma, a domanda diretta su quale potessero essere i nuovi “movie brats” (il gruppo di registi degli anni ’70 che rese possibile la New Hollywood, di cui lo stesso Coppola era membro, ndr ) tra i nomi dei “giovani” autori fece, tra i tanti, quello di David O. Russell e non aveva avuto torto.
In questo suo ultimo lavoro David O. Russell, porta sullo schermo tutta la squadra al completo, tutti titolari e nessuna riserva o seconda linea. Un film di primi attori, quasi eccessivo per la presenza di protagonisti, ma incredibilmente domati e mastodonticamente diretti dall’autore. American Hustle sembra infatti il vero esito inevitabile di un discorso iniziato con The Fighter e proseguito con il lato positivo, un discorso ancora attuale sul corpo dell’attore, la carne che diventa creta malleabile di cui Christian Bale è l’indiscusso esempio. Non è solo un banale discorso sulla trasformazione fisica del corpo, elemento in fondo sempre presente nel cinema americano, ma di sistema di attinenza, di modificazione. che cala i protagonisti in una contestualizzazione generale e non più particolare. Non più il De Niro di Toro scatenato, un unico attore mostrum che catalizza la storia, ma un parterre de rois che muta interamente la messa in scena e trascina lo spettatore in un nuovo universo rappresentato. Come già ne Il lato positivo, in cui i protagonisti lentamente minavano le certezze dello spettatore per condurlo lentamente, scena dopo scena, all’interno in un nuovo universo dove le coordinate razionali sfumavano in favore di una realtà emozionale e liberata indebitamente chiamata “pazza”.
Questo si rinnova moltiplicato in American Hustle, ogni attore non interpreta un ruolo infatti, ma regala una concatenazione di scene memorabili e di grandi prove. Non c’è manierismo in questo ma la ferrea volontà di accaparrarsi lo spettatore, di sballottarlo violentemente, di volta in volta, da un punto di vista all’altro dei personaggi. Tassello dopo tassello il mosaico prende forma e il puzzle assume il significato desiderato. La storia, tratta da fatti realmente accaduti, è in fondo semplice. Scritta in prima battuta da Eric Singer e contenuta nella black list (la lista delle migliori sceneggiature scritte e mai realizzate, ndr) ma rielaborata dall’autore per adeguarla a questa sua idea di cinema. Ne emerge allora un magnifico affresco sulle miserie e le debolezze umane, sull’ipocrisia e sul tradimento. In fondo, una storia banale dunque, ma magistralmente diretta, degna di uno Scorsese, a cui la pellicola in più occasioni si riferisce e strizza l’occhio.
(American Hustle); Regia: David O. Russell; sceneggiatura: Eric Singer e David O. Russell; fotografia: Linus Sandgren; montaggio: Alan Baumgarten, Jay Cassidy e Crispin Struthers; musica: Danny Elfman; interpreti: Christian Bale (Irving Rosenfeld), Bradley Cooper (Richie DiMaso), Amy Adams (Sydney Prosser), Jeremy Renner (Carmine Polito) e Jennifer Lawrence (Rosalyn Rosenfeld); produzione: Atlas Entertainment; distribuzione: Eagle Pictures; origine: U.S.A, 2013; durata: 138’