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Americana – The Walking Dead

Pubblicato il 17 novembre 2010 da Marco Di Cesare


Americana – The Walking Dead

L’immagine di un’umanità a pezzi – chissà se irrimediabilmente perduta – risiede tutta in una bambina dalla pelle ancora rosea che si inchina per raccogliere un peluche (magari un tempo suo adorato compagno di giochi e di coccole), trascinandosi tra una piccola selva di rottami d’auto e di corpi al macero che sono divenuti rifugio per le mosche. Saranno però la bocca orrendamente deforme della piccola, i suoi occhi vitrei e un verso ferino a raffigurare, al contrario, l’orrore della decomposizione umana, nel corpo come nella mente. Malgrado comunque The Walking Dead fin dal suo primo istante parli della morte, questa fin dall’inizio è collegata in modo manifesto al fattore umano e alla sua volontà di (soprav)vivere nella speranza.
Trasmessa in Italia da lunedì 1 novembre in seconda serata su Fox, a un solo giorno di distanza dalla prima visione americana sull’ormai rinomato network AMC, The Walking Dead è tratta dall’omonima serie a fumetti scritta da Robert Kirkman e pubblicata a cominciare dal 2003. Si tratta di un progetto fortemente voluto da Frank Darabont, il quale, dopo avere realizzato l’interessante The Mist (con quel magnifico finale, uno tra i più belli e sconvolgenti nella storia del cinema, non solo di quello più recente) si è nuovamente gettato sulla sua forte passione per l’horror, ancora portando sullo schermo l’adattamento di un’opera altrui. E, come nella pellicola che ha preceduto quest’ultima fatica, Darabont ha saputo lavorare di fino, anzi ancor più che in The Mist (almeno, assieme al team di scrittori, per quanto riguarda la sceneggiatura), non limitandosi alla semplice messa in scena di un’opera originariamente creata per un altro medium ma, piuttosto, integrandola e un po’ reinventandola.
E The Walking Dead si pone come un lavoro interessante e finora degno di essere considerato all’interno della rinascita che ultimamente l’horror statunitense sta vivendo, nelle sue varie diramazioni, attraverso quello che attualmente è il medium più attivo nell’industria audiovisiva d’Oltreoceano (basti pensare a True Blood o a Harper’s Island, più che a Fear Itself o a Masters of Horror, deludenti esempi di autori cinematografici, più o meno grandi, prestatisi alle televisione, tranne che nei casi degli immensi Argento di Pelts e Carpenter di Cigarette Burns). A questo punto sarebbe facile notare come la serialità non possa che fare bene a un genere tanto svilito, in particolare a causa degli aspetti più deteriori del mainstream cinematografico statunitense, colpevole di limare qualsiasi fruttuosa asperità. Nello specifico si è riusciti a donare vitalità e spessore ai sottogeneri zombi e survival horror, per merito anche della bontà del materiale di partenza offerto da Kirkman.
La serialità in quanto nuova frontiera per l’horror però, qui avrebbe potuto anche rischiare di arrestarsi troppo presto. Fortunatamente, però, visti il successo di pubblico e lo standard elevato del prodotto, ai primi sei episodi della prima stagione è già stato annunciato che ne verranno aggiunti altri tredici, i quali andranno a formare la seconda stagione del progetto. In questo modo si potrà sperare che tale lavoro potrà arricchirsi di un respiro ancora più ampio, per un’opera che si giova – solo a prima vista paradossalmente – di un certo minimalismo che affiora spesso tra le sue trame (in particolare nel pilota, diretto dallo stesso Darabont), attirando nuovo interesse verso la figura dello zombie (anche se, in verità, bisogna sottolineare come la splendida miniserie inglese Dead Set, della quale ci occuperemo la prossima settimana, risalga al 2008; un’opera tuttavia molto diversa, se non opposta, a The Walking Dead, e approdata da noi solamente lo scorso venerdì su Mtv).
Comunque quello che più risalta in questo prodotto americano è la messa in scena della quotidiana sopravvivenza, come già nella pellicola L’ultimo uomo della Terra (Ubaldo Ragona, 1964), pregevole trasposizione del romanzo Io sono leggenda di Richard Matheson: in questo modo è stata sottolineata quella dimensione (dis)umana che potrà essere acuita grazie alla lunga durata. Intanto, come vogliono le regole non scritte del genere, vengono inseriti personaggi più o meno apertamente negativi che creano tensioni (anche razziali in taluni individui) nel gruppo dei sopravvissuti, portando allo scoperto le ambiguità del comportamento umano. E, in effetti, in #2 si può assistere a un omaggio al romeriano Dawn of the Dead, tramite l’assedio a un centro commerciale di un’Atlanta devastata. Però le eventuali citazioni, così come certi richiami al western (il genere sull’assedio in quanto espressione della paranoia americana, come mostrato decenni fa dal genio iconoclasta di Romero) non appesantiscono mai la narrazione. L’ironia, poi, si fa sentire ben poche volte. In questo modo si può tornare alle origini del racconto apocalittico, senza riletture che divengano dei distanziamenti e degli allontanamenti. Perché, comunque, qui sono il dolore e il suo lato più materico a toccare i nervi scoperti dello spettatore, immerso nel calmo e a volte cadenzato fluire di una narrazione e di un’esistenza attraversate da repentine e improvvise scosse (come raffigurato dalla camminata dei non morti), comprese una rappresentazione graficamente particolareggiata della violenza, con i ’Walkers’ (i morti che camminano, emblemi di una continua ricerca di cibo e di sopravvivenza e di un vagare esistenziale, al pari dei vivi) che riconoscono le loro prede – i diversi - grazie all’odore emanato dalla carne viva; e, viceversa, i vivi possono sentire l’odore della morte che cammina.
Nondimeno, tra violenze e tradimenti, su tutto aleggia anche un sentimento di pietà da parte degli stessi protagonisti – una compassione sentita e mai didascalica - verso i mostri di qualsiasi tipo, probabilmente perché comunque emblemi dell’ambiguità e dei chiaroscuri della natura umana.
È un prodotto armonioso The Walking Dead. Buono ma non eccelso, assai curato e di certo importante all’interno dell’horror seriale e, più in generale, delle storie sugli zombi. Rappresentando poi, oltre che una prova di maturità, pure un’opera per taluni versi coraggiosa.


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