AngloAmericana - Into the Storm

Vedere la Storia attraverso gli occhi di un suo protagonista è un evento che affascina il pubblico più di quanto non sappia fare la storia stessa. Vederla poi attraverso gli occhi di chi quella storia ha contribuito anche a scriverla non può che aggiungere un’autorevolezza al racconto in grado di affascinare senza difficoltà il pubblico, rendendolo allo stesso tempo partecipe di una porzione di storia universale e privata.
Into the Storm è l’ennesimo caso di ricostruzione storica messa al servizio della televisione importante, d’autore. Quella stessa televisione costruttiva (HBO), capace cioè di compiere opere significative guardando alla qualità del prodotto e alla capacità con cui essa stessa possa realmente rivolgersi a un pubblico esclusivo. È sulla base di questa politica che da anni si succedono, all’interno del prestigioso network americano, film tv o miniserie (escludiamo in questo caso le grandi serie tv) di estrema raffinatezza, opere dell’importanza e della qualità di John Adams, Grey Gardens e Recount o, per restare in tema di storia e di storia delle guerre (un filone molto caro all’HBO), lavori pluripremiati del calibro di Band of Brothers (articoli di A. Izzi e di S. Sozzo), Casa Saddam, Generation Kill, Taking Chance e, appunto, Into the Storm.
A essere precisi, però, il lavoro appena trasmesso da Sky si distanzia leggermente, al pari di Casa Saddam, dagli altri lavori del genere, in quanto al racconto della guerra più vera, truculenta, vissuta sul campo di battaglia (in questo caso la seconda guerra mondiale) esso affianca - o sarebbe più corretto dire sovrappone - una matrice biografica molto forte, preponderante rispetto agli altri elementi. Il punto di vista unico a cui precedentemente assegnavamo l’incarico di dare dignità e lustro all’intero operato artistico, si potrebbe a questo punto elevare tranquillamente a componente di traino rispetto alla narrazione in senso stretto, all’impostazione del progetto e alla sua costruzione concreta. Proprio come avveniva in Casa Saddam, o per andare ancora più indietro negli anni, come faceva quell’originale Gathering Storm di cui l’odierno lavoro costituisce l’ideale prosecuzione, Into the Storm si afferma come la proiezione del punto di vista del suo eroe, come il virtuale prolungamento dell’intelletto, dell’anima e della coscienza del protagonista, tanto quanto il potere di Saddam costituiva la fonte di sostentamento primario per il proprio personale biopic. Il peso di una figura carismatica come Winston Churchill si percepisce infatti durante tutta la visione, la forza della sua politica traspare attraverso lo schermo proprio mentre il suono delle sue parole costruisce il ritmo di uno script fedele e disteso, maneggiato con cura dagli artefici nel rispetto di una storia che non ha bisogno di orpelli né di stravolgimenti sostanziali. La sua essenza si basa sull’alternanza continua di elementi costanti e precisi che ritornano di volta in volta a spezzare la continuità di un racconto volutamente singhiozzante e a circoscrivere attimi di emozione unica.
In Into the Storm assistiamo così alla Storia che entra in contatto e si intreccia con l’uomo Churchill; vediamo una guerra catastrofica sorgere, crescere e spegnersi davanti agli occhi e alla mole di un uomo debilitato nel fisico (i malanni al cuore spezzano più volte la sua resistenza) ma incredibilmente coriaceo nell’anima e nella mente. Subiamo l’incursione della mdp nel privato di un importante uomo pubblico, nell’intimo delle sue residenze, delle sue stanze, nella routine delle abitudini giornaliere (il riposino pomeridiano, la pittura paesaggistica, il vizio di un sigaro cubano e di un brandy). Assistiamo alla definizione del personaggio politico, dell’animale da combattimento che in nome di un romanticismo ottocentesco rivendica la propria britannica appartenenza di fronte a tutto e a tutti. Fedele all’impero e alla regina, conservatore della prima ora Churchill appare dalle immagini confezionate come un uomo capace di alternare un profilo da saggio pensatore ad un altro da cavaliere pronto a difendere ’la sua Camelot’ attraverso l’arte della guerra («La guerra che un tempo era crudele e magnifica, oggi è diventata crudele e squallida. Una volta un piccolo numero di addestrati professionisti combatteva per una causa. Quegli uomini, veri coraggiosi, erano sostenuti in ogni momento dal plauso della loro nazione. Ora vediamo intere comunità, donne e bambini compresi, contrapporsi le une alle altre in un brutale mutuo sterminio. E intorno un ottuso branco di freddi contabili che tirano le somme del massacro»). Vicino a lui si muove sua moglie, splendida donna che il film ci mostra come l’altro bastone a cui l’uomo Winston affida di tanto in tanto la sua andatura barcollante (solo nell’intimità della vita domestica). La forza della donna emerge tra le maglie del racconto negli attimi in cui sostiene il primo ministro, in cui diventa il suo primo consigliere politico nonché l’artefice delle correzioni finali ai suoi discorsi; ma si sente anche nei momenti in cui il proprio orgoglio si pone in netto contrasto con gli impegni del marito, con quella carica pubblica che spesso rinchiude Churchill dietro una maschera e ne alimenta un inaridimento sentimentale difficile da recuperare.
Into the Storm non è soltanto il privato però, non è solo il racconto intimo dell’uomo illustre durante il suo momento di massimo fulgore professionale. Esso è anche dimensione pubblica, storia conosciuta e meno conosciuta, racconto didascalico e leggendario di un’epoca fondamentale. Il suo compito, al di fuori della dimensione privata, è quello di rinvigorire i tratti dell’aneddotica documentata con la frivolezza della curiosità e la retorica dell’evento. D’altronde, nel chiuso delle stanze dove le guerre si organizzano, la storia comincia ad essere scritta ancor prima di essere vinta ed è per questo che l’occhio autoriale vuole andare dentro per assistere agli incontri scontri tra Churchill, Roosevelt, Stalin, vuole andare a scovare i pensieri antecedenti ai fatti, le parole profuse per la causa, le emozioni, il dolore e le sofferenze della guerra diplomatica. Churchill soprattutto in questo era un uomo differente dai suoi colleghi, perché sapeva mettere la passione anche nello scontro verbale, costruendo frasi di un impatto incredibile, di una forza devastante mantenendo allo stesso tempo invariato il notorio aplomb britannico. In maniera volutamente esagerata Into the Storm sottolinea le capacità oratorie dello statista costruendo attorno alle sue frasi più famose («A volte penso che l’uomo distruggerà i suoi simili, cancellerà ogni civiltà. L’Europa sarà un deserto e io sarò ritenuto il responsabile», «Morale alto, vittoria sicura. Sono bravo con il morale. Questo lo dicono tutti», «Hanno l’assoluto diritto di votare come preferiscono. Questa è la democrazia. Dopotutto abbiamo combattuto per questo»), una struttura enfatica evidente retta prevalentemente sulla suggestione delle eleganti carrellate, su di un montaggio simbolico e su un lirismo musicale da grande epopea.
Tuttavia il lavoro, prodotto tra gli altri anche dalla ScottFree dei fratelli Ridley e Tony Scott, rimane comunque un biopic di natura televisiva, molto vicino al cinema per la qualità del prodotto, ma estremamente legato al piccolo schermo per la concisione dei tempi e la mancanza dei tanto odiati momenti morti. Into the Storm è infatti un film che scorre molto bene, senza ingorghi traumatici o attimi particolarmente riflessivi; esso non cede al richiamo delle strutture narrative del cinema classico (colpi di scena, turning point e quant’altro), ma prosegue sui binari della storicizzazione del racconto o, se si vuole, sulla drammatizzazione della componente storiografica. Con le parentesi aperte di tanto in tanto a raccontare il vissuto che la storia, almeno quella ufficiale, difficilmente racconterà mai.
Il piacere scaturito dalla visione di Into the Storm è qualcosa che difficilmente si può sperare ormai di carpire dalla tv odierna. Il fascino antico e suggestivo di una ricostruzione sentita, magari non meticolosa dal punto di vista storico ma comunque sincera sul fronte della partecipazione emotiva al racconto, è un godimento per gli occhi e per le orecchie. È cibo per la mente. Tutti organi ormai intorpiditi da una tv approssimativa, pedante e tremendamente puerile (non solo nei temi ma anche nelle tecniche di realizzazione) che non lascia spazio a operazioni serie e puntuali di questo tipo (almeno nel nostro paese).
Citazione finale di merito per l’interpretazione di uno strepitoso Brendan Gleeson. Anche nei panni di un uomo non proprio facile da restituire come Churchill egli si muove perfettamente e con un’aderenza impressionante. A dispetto del peso ingombrante, l’irlandese dimostra ancora una volta di saper recitare con ogni parte del corpo costruendo, attimo dopo attimo, gesto dopo gesto, parola dopo parola, una performance sensazionale e commovente.
