Another me
Un tema fin troppo inflazionato, quello del doppio, nella storia della cinematografia mondiale. Nei decenni splendidi esempi ci sono stati donati da innumerevoli registi: tanto per citare un grande maestro della Settima Arte, Hitchcock, senza dimenticare De Palma con i suoi capolavori come Vestito per uccidere o Doppia personalità.
Una tematica, quindi, a lungo analizzata e sviscerata in ogni sua forma, in cui celebri registi nell’affrontarla si sono cimentati in diversi generi, dall’horror al thriller psicologico. E nonostante la molteplicità di queste opere, il doppio mantiene sempre un certo fascino per gli amanti del grande schermo. A provarci questa volta è stata la talentuosa catalana Isabel Coixet, che in questa Ottava Edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, ha presentato in concorso la sua ultima fatica, Another me, mancando però totalmente il bersaglio. Il film infatti può definirsi senza dubbio l’opera più debole e meno riuscita della regista, che mal si colloca all’interno della sua precedente produzione artistica. Infatti se dopo La mia vita senza me e La vita segreta delle parole la giovane spagnola si era conquistata numerosi apprezzamenti a livello internazionale, con questo ultimo film ne perde di gran lunga, scivolando in una caduta libera senza freni.
Il film, tratto dal romanzo di Cathy McPhail, si apre con le più classiche atmosfere noir intrise di echi angosciosi e inquietanti e in sottofondo una voce fuori campo rivela l’intera evoluzione della vicenda narrativa. Fay è una comune adolescente che dopo aver vissuto un’infanzia serena e felice, si trova improvvisamente a fare i conti con delle tragedie che sconvolgono totalmente la sua esistenza. Il padre infatti scopre di essere affetto da sclerosi multipla e che non gli resta molto da vivere. Forse la malattia del padre, o forse l’infedeltà della madre, incapace di stare accanto fino all’ultimo al marito malato, suscitano nella giovane una serie di incubi che sfoceranno poi nel quotidiano. Il passo dall’onirico al reale è breve e non tarda ad arrivare: Fay inizia a sentirsi minacciata ed inseguita da un’oscura presenza che pare voler prendere il suo posto. A svelare l’identità di quest’ombra dalle sembianze grottesche, è un’ulteriore tragedia familiare che diviene ancora più grottesca, sfiorando quasi il ridicolo.
Altro che thriller psicologico, quello della Coixet è forse più un “comico involontario”, dai tratti farseschi e surreali, preso incomprensibilmente in concorso a questa ultima edizione romana. Nulla pare funzionare, il film pullula di gravi errori e mancanze, rendendo irreversibile il giudizio finale. Nemmeno l’impianto estetico, che tutto sommato potrebbe essere quasi godibile, con qualche atmosfera suggestiva condizionata anche dall’elemento sonoro con cui la regista catalana è solita giocare, possono nulla contro la vacuità e la banalità con cui si snoda l’intreccio narrativo. Alla base di Another me, infatti, troviamo una sceneggiatura a dir poco confusionaria, sconclusionata e sbrigativa. Totalmente assenti sia l’indagine psicologica che l’approccio intimistico dei precedenti film che nemmeno un buon cast (Jonathan Rhys-Meyers, Claire Forlani, Sophie Turner e Rhys Ifans) riesce anche solo lontanamente a salvare.
(Another me); Regia: Isabel Coixet; sceneggiatura: Isabel Coixet; fotografia: Jean-Claude Larrieu; montaggio: Elena Ruiz; musica: Michael Price; interpreti: Jonathan Rhys-Meyers, Claire Forlani, Sophie Turner, Rhys Ifans; produzione: Rainy Day Films, Tornasol Films; origine: Spagna, Gran Bretagna 2013; durata: 86’.