Appuntamento con l’amore

Torna sugli schermi Garry Marshall, un po’ sgualcito nella forma ma in vena di piccoli pamphlet teorici: il suo Valentine’s Day oltre a essere un perfetto esempio di product placement – che in Italia arriva però a un mese esatto dalla festa soggetto del film – è una rivisitazione puramente ludica, o forse anche un po’ nostalgica, del cinema dello stesso Marshall e dei suoi modelli di riferimento, moltiplicatisi nel tempo come le storie qui narrate.
Sono due le sequenze di Appuntamento con l’amore in grado di stabilire le coordinate entro cui leggere (e apprezzare) una pellicola che si propone come punto di convergenza dei tanti vettori della commedia sentimentale: la prima, vede una Shirley McLaine recitare sul suo doppio di celluloide lo stesso acme narrativo, quello intenso e magniloquente di La tua pelle brucia riprodotto – non a caso – sullo schermo del cimitero di Hollywood mentre nella contemporaneità più bassa e quotidiana la sua riappacificazione con il marito devoto Hector Elizondo viene salutata dalla folla con la richiesta di togliersi di mezzo.
L’altra vede Ashton Kutcher protagonista di una corsa in aeroporto per fermare la sua migliore amica Jennifer Garner. Si imbatte nel bigliettaio stanco e annoiato che gli dice “fammi indovinare: devi prendere l’aereo o perderai l’amore della tua vita, giusto?”. Ma poi nonostante il sarcasmo elargisce il pass, come di rito.
Marshall, insieme al tris di sceneggiatori Fugate/Kohn/Silverstein, gioca dunque con le attese spettatoriali, si diverte a confermarle nella maggior parte dei casi e a disattenderle qualche volta, dimostrando che per quanto le convenzioni del genere possano essere dispiegate in quantità industriale il cinema è ancora in grado, se vuole, di giocare d’astuzia con il proprio pubblico, tenendo presente alcune regole.
Appuntamento con l’amore bandisce infatti l’ingenuità dell’immagine vergine, della “prima cosa bella” per approcciare i suoi spettatori su un terreno comunemente e apertamente smaliziato, riuscendo così a recuperare quel gap tra produzione e ricezione che appare il grosso limite di tante commedie (ma estendibile anche ad altri generi) riproposte senza tener conto dell’esperienza accumulata dal pubblico.
Gettando la maschera, sorridendo dei propri cliché, Marshall e il suo cast all star riescono nel tentativo di riavvicinarsi agli spettatori, ammiccando sornioni ai rimandi delle varie story-line verso l’olimpo hollywoodiano dentro e fuori lo schermo.
Dalle citazioni più ovvie – come gli amici del cuore Kutcher e Garner che ripropongono una versione più sbiadita di Harry ti presento Sally – a quelle meta-filmiche che vedono Anne Hathaway in veste di segretaria per un giorno della potente e spaventosa Queen Latifah, una versione semiseria della Miranda Priestley de Il Diavolo veste Prada, o al passaggio in limousine su Rodeo Drive, nel finale, di una Julia Roberts che ricorda “Se ho mai fatto shopping qui? Una volta, fu un grosso errore!” con implicita strizzata d’occhio al film che lanciò sia lei che Marshall, Pretty Woman.
La presenza della Roberts, qui per la verità molto dimessa e utilizzata a mo’ di ceralacca per sigillare la confezione, è solo la punta dell’iceberg di un cast che affastella divi su divi, utilizzandoli come icone di cui conservare intatta l’aura o da rimodellare, decostruendo l’immagine preconfezionata dai ruoli precedenti.
È il caso dei due divi maschili del serial Grey’s Anatomy, Patrick Dempsey ed Eric Dane, i cui caratteri vengono invertiti rispetto al celebre medical drama sul Seattle Grace, o della sexy Jessica Biel qui alle prese con un personaggio nevrotico e insicuro dalla comicità improntata su movenze slapstick.
In tutto questo girotondo di volti, battute e giochi citazionisti Marshall trova anche il tempo per guardare al futuro e sigillare passaggi di consegne: il sorriso ammaliante della Roberts di Pretty Woman è ormai stampato sul volto della – più brava – Anne Hathaway (interprete piena di possibilità, come Ang Lee e Jonathan Demme hanno dimostrato) lanciata dal regista in Pretty Princess, nella quale oggi trova una conferma. Ma Marshall sembra scorgere la stessa luminosità anche (e forse per legame di sangue dato che è la giovane nipote di Julia) sul volto fresco Emma Roberts, già Nancy Drew, cui assegna il ruolo ‘giovane’ più importante del cast.
E allora poco importano alcune “gaffe” come uno stile visivo un po’ anonimo o l’inutile voce narrante che apre e chiude il film tentando di dare una coesione di cui non si sente affatto il bisogno, e che è di per sé garantita dai sei gradi di separazione per cui ogni personaggio è legato agli altri. Così come si può sorvolare sull’inserimento di personaggi inutili chiamati solo in funzione dell’appeal al botteghino come Taylor-Jacob-Lautner e Taylor Swift, ai quali però viene riservata una battuta sagace: lei lo implora di togliersi la maglietta e lui, che nella saga di Twilight recita perennemente a torso nudo replica “No, lo sai che non mi piace spogliarmi in pubblico!”.
All’Italia, invece, si perdona meno un doppiaggio terrificante che piazza voci adolescenziali su volti maturi (vedi Dempsey) e che limita molto il lavoro espressivo condotto da altri (Anne Hathaway e Jessica Biel su tutti, probabilmente le migliori del cast).
Con Appuntamento con l’amore Marshall firma dunque un’opera che non ci sprecheremmo a definire postmoderna, ma che a conti fatti dimostra di aver pienamente recepito la dimensione ludica nella quale proporre oggi la solita, sdolcinata e intramontabile storia d’amore.
(Valentine’s Day); Regia: Garry Marshall; sceneggiatura: Katherine Fugate; fotografia: Charles Minsky; montaggio: Bruce Green; musica: John Debney; interpreti: Ashton Kutcher, Jessica Alba, Jennifer Garner, Jessica Biel, Jamie Foxx, Julia Roberts, Bradley Cooper, Anne Hathaway, Topher Grace, Hector Elizondo, Shirley McLaine, Emma Roberts, Queen Latifah, Kathy Bates;produzione: Karz Entertainment, New Line Cinema, Rice Films; distribuzione: Warner Bros Pictures Italia; origine: Usa 2010; durata: 125’
