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Il mondo di Arthur Newman

Pubblicato il 5 settembre 2013 da Luca Lardieri
VOTO:


Il mondo di Arthur Newman

Prendete il Fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello, rivisitatelo, aggiungete qualche snodo narrativo tipico di certo cinema indipendente British/American, date il tutto in mano ad un ottimo cast con a capo lo straordinario Colin Firth e l’opera prima di Dante Ariola è praticamente pronta. Intendiamoci, il film è un dramma filosofico/intellettuale riuscito ed interessante per più di tre quarti della sua durata che verso la fine, a causa di una piega non proprio limpidissima che prende la sceneggiatura scritta da Becky Johnston, finisce con il far perdere incisività ai bellissimi personaggi fin lì raccontati, risultando un po’ troppo lungo.
Il pretesto iniziale è molto semplice e al tempo stesso geniale: un uomo disilluso dalla propria vita a causa di un lavoro poco gratificante, un figlio arrabbiato e deluso che cerca di ignorarlo in ogni modo, una ex moglie risposata e una nuova compagna piuttosto noiosa, decide di fingere il proprio suicidio e rifarsi una vita sotto il nome di Arthur Newman. L’uomo e la sua nuova identità saranno quello che hanno sempre sognato di essere: un campione di golf. Fin qui nulla di nuovo rispetto al romanzo di Pirandello, fino a quando, proprio all’inizio del suo viaggio, Newman incontra Mike, una giovane donna che finge di essere un’altra persona per fuggire dalla propria vita. Sarà incontrandosi che i due daranno inizio ad un intenso road movie che li porterà a "rubare" per pochi attimi le identità di alcune coppie che incontreranno lungo il loro percorso, alla ricerca di una vita che possa soddisfare le proprie aspettative o, semplicemente, alleviare il costante, inspiegabile dolore che li opprime.
Ariola racconta questa favola amara con immagini esteticamente molto belle e con metafore originali e piuttosto stimolanti. Nei movimenti della sua macchina da presa c’è tutta la potenza del cinema d’autore senza mai forzare troppo la mano e senza mai dimenticarsi del proprio pubblico. Un discorso sull’identità, sul capire cosa non si è ancor prima di capire cosa si è veramente. L’essere che si qualifica attraverso il non essere e, tirando le somme, finisce per constatare se tutto ciò coincide con ciò che si vuole, ciò che si è voluto e quello che si ha oggettivamente in mano. Il tutto reso attraverso una sceneggiatura essenziale che non esagera mai con dialoghi inopportuni, lasciando alla macchina da presa e al suo regista il ruolo di indagatore attraverso l’immagine, attraverso il non detto. Peccato che tutto ciò si vada ad infilare in un prefinale dallo stile incerto ed indeciso che va ad inficiare su quanto di buono si era visto e vissuto fino a quel momento. Per fortuna l’ultima immagine riprende in mano le redini di un discorso che sembrava essersi perso, riportando il tutto sul binario giusto e regalando al pubblico una pellicola ed un regista di cui in futuro sentiremo parlare spesso.


CAST & CREDITS

id.; Regia: Dante Ariola; sceneggiatura: Becky Johnston; fotografia: Eduard Grau; montaggio: Olivier Bugge Coutté; interpreti: Colin Firth, Emily Blunt, Anne Heche, David Andrews; produzione: Vertebra Films e Cross Creek Pictures; origine: USA 2012; durata: 101’.


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