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Äta sova dö

Pubblicato il 3 settembre 2012 da Alessandro Izzi

VOTO:

Äta sova dö

Mangiare, dormire, morire. Senza neanche l’incaglio dei sogni che tanto spaventavano Amleto. Non un destino da augurarsi. Nè da augurare al proprio peggior nemico.
Questo è, però, il destino di Rasa, ragazza di origini montenegrine, ma svedese sin dal primo anno di età. Se non altro è il fato che le tocca in sorte nel momento in cui, complice la crisi globale che tanti posti di lavoro sta ancora mietendo in tutta Europa, la ditta per la quale lavora è costretta a licenziarla per non finire nel baratro del fallimento.
Da quel momento in poi la vita di Rasa, straniera nel nome, ma non nella sostanza di un paese che si vuole molto avanzato, si perde nell’attesa e nella continua ricerca di una nuova occupazione. Cosa non facile per una ragazza come lei che dall’età di sedici anni lavora come inscatolatrice di insalate in una catena di montaggio, che non ha la patente di guida (minimo sindacale per un lavoro in un piccolo centro come quello nel quale vive) e il cui livello di istruzione si ferma sul crinale delle scuole dell’obbligo.

Il film, dopo una prima mezz’ora di presentazione del personaggio, non tarda a calare le carte del ritratto di denuncia, ponendo spesso allo spettatore la scomoda domanda se sia davvero questo il futuro che un paese pensa di poter riservare a ragazzi che, in fondo, non hanno tantissime pretese se non un piccolo lavoro che possa nobilitare le loro altrimenti misere esistenze. Lo fa con sguardo partecipe, mai in cerca di facili assoluzioni e senza calcare la mano sulla simpatia del personaggio che è sempre sintomo di un ricatto borghese alle aspettative dello spettatore.
Al contrario Rasa, personaggio umanissimo e splendidamente interpretato da un’attrice in odore di neorelismo, appare personaggio ruvido e grinzoso. Giovane, ma mai piacente, mascolina nei modi, nei movimenti e nella camminata brusca, la ragazza non sembra mai essere quel tipo di persona che si scusa per la sua semplice esistenza. Al contrario, forte di poche e spicce convinzioni, mette l’anima nella ricerca di un nuovo impiego mentre la società le pone di fronte realtà francamente ridicole come il video promozionale sulle possibilità offerte ai giovani e ai lavoratori dall’amata Svezia (e che paradosso che si faccia vedere questo spot alle persone fresche di licenziamento) o come i gruppi di supporto che insegnano ai ragazzi ad affrontare colloqui di lavoro preparandosi a casa risposte preconfezionate su cose come hobby e tempo libero.

La cosa notevole del film è che ci dice a chiare lettere che non è che la vita di Rasa fosse poi tutte queste rose e fiori anche prima del licenziamento. Casa e lavoro, con qualche fugace corsa in bicicletta con l’amico Nicki che, per un poco, ne condivide il destino di disoccupata e verso cui non sembra nutrire altro che semplice amicizia (evitare la scorciatoia del sesso è un altro grande merito di questo ritratto a tinte unite di un personaggio memorabile): il trionfo della monotonia di poche pretese.
La verità è che Rasa mangiava e dormiva aspettando la morte anche prima della fine del contratto di lavoro, ma aveva poco tempo per rendersene conto. La fine del periodo di occupazione porta a galla una verità ben altrimenti problematica che la noia di dover restare a casa: l’incapacità di pensare (non diciamo neanche sognare) una vita diversa, l’inettitudine a lasciare il paesino in cerca di lavoro, la stasi esistenziale ben esemplificata dall’essere priva di una patente di guida.

Il film ci mette quindi davanti non solo ad un ritratto di donna forte, ma al fondo incredibilmente vulnerabile, ma soprattutto ci mette di fronte al ritratto di una realtà sociale non del tutto in grado di mettere i suoi stessi figli non solo nella condizione di lavorare, ma anche di decidere per se stessi il proprio futuro. Figurarsi poi quando questi figli sono anche figli di immigrati!
Forse il segno più grande della crisi globale lo si registra proprio qui: in queste remote periferie dell’adoloscenza, in questi ragazzi privati due volte di futuro (la prima a livello economico, la seconda a livello culturale). E a loro non resta che un pianto asciutto sotto la maschera di clown al pensiero che, per lavoro, non resta che uccidere quelle mucche cui si dava da mangiare appena il giorno prima.


CAST & CREDITS

(Äta sova dö); Regia e sceneggiatura: Gabriela Pichler; fotografia: Johan Lundborg; montaggio: Gabriela Picher, Johan Lundborg; musica: Andreas Svensson, Jonas Isaksson; interpreti: Nermina Lukač (Raša), Milan Dragišić (il padre), Jonathan Lampinen (Nicki), Peter Fält (Peter), Ružica Pichler (Rosi); produzione: Anagram; origine: Svezia, 2012; durata: 103’


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