Babylon Fast Food

Il cibo, quando è condiviso, è un potente strumento di comunicazione. Più del sesso, esso abbatte ogni forma di diversità, ci rende tutti uguali e ci obbliga a riconoscerci in un bisogno primario ineludibile che non può essere disatteso per troppo tempo.
Chi non mangia muore e negare il cibo ad un’altra persona, significa condannarla ad una lenta agonia. Sottrarlo, come continua a fare il nostro mondo che si vuole civilizzato, è il peggiore dei furti.
Il cibo è meno importante dell’acqua, ma ha un valore profondamente culturale.
In qualsiasi parte del mondo si vada, infatti, l’acqua resta sempre la stessa, incolore, inodore, virtualmente insapore.
Il cibo cambia, invece, forma, foggia e colore ad ogni latitudine. È frutto di una tradizione eppure ha costantemente bisogno di innovazione. Si lega alla moda, ma diventa imprescindibile espressione di un popolo e del suo gusto.
«Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei; dimmi con chi mangi e ti dirò cosa vuoi essere»: potrebbe essere questa la filosofia impressa nell’interessante corto Babylon Fast Food di Alessandro Valori.
Tutto il corto ruota intorno a due diversi deschi. Ciascuno con un suo significato ed un suo valore insito.
Il primo è quello di un’antipatica nonnina italiana che, aspettando il nipotino per cui ha preparato una succosa lasagna, incassa l’affitto per uno scantinato da un ragazzo di colore.
Il secondo è quello di quest’ultimo nel cortile del palazzo, mentre affannosamente si prepara una bistecca alla fiorentina direttamente sulla finta brace di un fornelletto elettrico.
Sulle prime il discorso appare semplice semplice. La nonnina che sfrutta il giovane di colore, rimane sola perché il nipotino se ne va in campagna col padre che chiude affari anche di domenica. Invece, intorno al ragazzo si riuniscono simpatici extracomunitari, ciascuno con il suo consiglio su come cucinare al meglio la carne.
La contrapposizione tra la realtà d’interno di un’Italia che avvizzisce nei rapporti e quella d’esterno degli extracomunitari felici che prendono il sole e parlano in un italiano babelico d’accenti è, però, più apparente che reale.
Il giovane, infatti, non ha nessuna intenzione di dividere la bistecca con tutte le persone che gli sono intorno e continua a ribadire ad ogni consiglio che gli viene prestato da una tradizione culinaria diversa, che l’unico modo vero per mangiare quella bistecca è con sale e un filo d’olio come si fa in Italia.
In un certo modo il senso di italianità più che per la ricetta passa per la non-condivisione. Essere italiani sembra confondersi, per il giovane di colore che continua a ripetere di essere italiano perché qui è nato, col mangiare da soli. Così si spiega l’insofferenza del simpatico protagonista alla pubblicità televisiva in cui tanti ragazzi cantano insieme l’inno nazionale a simulare un senso di patria e di collettività che non sta più da nessuna parte. Meglio cambiar canale, sulle ricette di cucina che sembrano dire più Italia.
Frattanto intorno al ragazzo si palesano piccole microstorie che stanno nei dettagli, dal muratore dell’est che beve birra, al filippino (ma di colore anche lui) che pensa ai frutti del paese suo che, con quella carne, farebbero la morte loro. Ogni piccola storia con una connotazione precisa, bozzetti di vita in qualche tratto di matita.
Tutto sinché il gatto della nonnina, lui sì per davvero italiano, non approfitta di un momento di distrazione collettiva per rubarsi la carne costringendo il giovane a salire dalla vecchina che lo accoglie in casa, tra le lacrime, dividendo con lui le lasagne destinate a un figliol prodigo che non ritorna.
Più che una contrapposizione tra italiani cattivi ed extracomunitari di buon cuore (che pure c’è, ma non proprio al centro del discorso), il corto è una riflessione sullo sfrangiarsi del senso di identità nella nuova società multietnica e, per estensione, sull’assurdità della legge italiana che ancora nega la cittadinanza anche a chi nasce su questo suolo e paga le sue tasse.
In questo quadro il cibo diventa possibilità di un dialogo solo nel momento in cui riesce per davvero ad essere condiviso. Solo intorno a un piatto di lasagne lei può trovare la forza di parlare della famiglia distante e lui della sua lontana. E solo intorno ad una tavola apparecchiata possono entrambi cessare di essere stranieri l’uno all’altra e, per questo, non più bisognosi di dirsi, in modi diversi, italiani.
Frattanto, non più oggetto di visione per regista e spettatori, gli operai di altri paesi consumano, in strada, i loro freddi panini.
Forse il limite di Babylon Fast Food, per il resto assai godibile è proprio la mancanza di questo affondo finale. Ma il resto è convincente e più sfumato di quanto non paia a tutta prima e di quanto sarebbe lecito aspettarsi da un prodotto nato all’interno di un laboratorio di cinema per ragazzi.
Tweeting: una riflessione, abbastanza originale sulle identità culturali nella nuova Italia
Where to: Su Youtube al link: http://www.youtube.com/watch?v=uWPQ...
(Babylon Fast Food); Regia: Alessandro Valori; sceneggiatura: Pier Paolo Piciarelli dal racconto di Lorenzo Mazzoni; fotografia: Francesco Ciccone; montaggio: Mallory Knox; interpreti: Amin Nour, Gisella Burinato, Joaquim Polo, Inderjeet Singh, Leandro Devole, Giorgio Ottoboni; produzione: Arca Cinema; origine: Italia 2012; durata: 14’
