Il bacio di Giuda
Affrontare le contraddizioni del presente della società italiana può essere estremamente difficile, soprattutto in un periodo come quello che stiamo attraversando, fitto com’è di contrapposizioni ideologiche manichee e votato all’ormai apparentemente irreversibile perdita di ogni possibilità di dialogo costruttivo.
Ogni operazione orientata nella direzione di un’analisi serena del contesto nel quale viviamo sembra, così, destinata a naufragare sullo scoglio di una mera visione dualistica, un continuo ricorrere a un “noi” e “voi” che non aspira più alla possibilità di una sintesi superiore capace di ammettere le ragioni di tutti e di rifiutare i torti comuni. Il mondo italiano, e in special modo quello di una certa fetta di giovani più facilmente portati a una divisione dicotomica del reale, è diventato un mondo di contrapposizioni basilari che non hanno in realtà niente a che vedere col reale, ma che è diventata una comoda categoria di interpretazione aproblematica.
Così il mondo viene diviso in comunisti e fascisti, in zecche buoniste e analfabeti funzionali, o, più semplicemente, in contesto scolastico, in docenti e discenti, l’un contro l’altro armati in una continua lotta che ha perso ogni connotazione ideologica (quella che almeno resisteva ancora qualche anno fa in una contrapposizione tra adulti e ragazzi vecchia come il mondo) per diventare una mera contrapposizione di percezioni.
Accade questo in Il bacio di Giuda di Marco Di Gerlando e Ludovica Gibelli, un corto che trae spunto da una storia vera e mette al centro del proprio discorso la contrapposizione tra una classe di figli di papà, abituati ormai ad andare avanti a scuola più per status sociale che per merito scolastico, e un professore piuttosto vecchio stampo che li boccerebbe tutti perché davvero non sanno nemmeno stare in classe.
Le prime inquadrature sono a segno di questa inconciliabilità di sguardi, la vera grande malattia, si diceva, della cultura italiana contemporanea. Un ragazzo lascia l’aula nel pieno di una crisi nervosa subito inseguito dal docente che tenta di far valere la propria presunta autorità sulla base di uno sbraitare ordini e minacce inascoltati.
Il ragazzo sente certamente alle spalle una qualche forma di garanzia di impunità (realtà abbastanza comune nei giovani di oggi, sostenuti a scuola, da famiglie che tifano per loro piuttosto che indirizzarli verso un percorso educativo che deve per forza di cose confrontarsi con sconfitte e assunzione di un senso di responsabilità) e, forte di ciò, risponde per le rime a un docente privato, da parte sua, di ogni possibilità di reazione diretta.
Le prime inquadrature mettono quindi in scena un confronto che si è fatto impossibile. Il ragazzo (e con lui la classe che partecipa allo scontro in maniera scomposta e maleducata) può minacciare impunemente, arrivare anche quasi ad alzare le mani e, infine, lasciare il campo portandosi dietro un’impressione di vittoria. Il docente da parte sua, ha le mani legate dalle ingerenze di un sistema che da tempo ha rinunciato alla propria funzione: potrebbe mettere una nota disciplinare, ma non servirebbe a niente se il consiglio ha paura di bocciare per condotta, potrebbe abbassare il voto salvo poi essere attaccato dagli stessi colleghi pronti ad accusarlo di non scindere la componente disciplinare dal rendimento scolastico, potrebbe infine chiamare i genitori ma può star certo che saranno loro ad attaccarlo dopo perché, se non riesce a tenere la disciplina in classe, alla fine la colpa è sua che non ci sa fare.
Di fronte a tutti questi inviti all’inazione il docente risponde con la rabbia di chi, perduta la propria funzione sociale, annaspa nell’impossibilità.
Il lato positivo della messa in scena pensata da Di Gerlando e Gibelli è che, pur in queste premesse che muovono verso lo stereotipo, i registi resistono alla tentazione di fare della figura del docente semplicemente un martire. Il professore, anzi, è sinceramente antipatico. Certo ha le mani legate, ma resiste l’impressione che davvero non ci sappia fare coi ragazzi, che davvero un altro al posto suo potrebbe sortire qualche risultato migliore.
Dall’altra parte c’è invece il resto della classe, che privato dalla possibilità di una serena opposizione alla propria infanzia egocentrata innaturalmente prolungata, si trova a confrontarsi con un vuoto. L’unico adulto che si oppone ai loro desideri, è, infatti, un cattivo da operetta, più patetico che reale, una figura che sembra facile destituire di quel poco di credibilità che gli resta. Di qui l’idea della calunnia da immettere nei social: l’omosessualità di un professore che approfitterebbe della posizione sociale garantita dalla funzione (in fin dei conti è lui che mette i voti e ha quindi un’arma di ricatto) per garantirsi prestazioni da parte dei ragazzi più deboli.
Gli studenti non si tirano indietro di fronte a nulla. Rapiscono il docente, lo drogano e lo filmano mentre uno dei ragazzi finge di avere un rapporto sessuale con lui. L’arma di minaccia perfetta è ottenuta, perché, anche se in futuro il docente dovesse riuscire a dimostrare la sua innocenza, nel mondo contemporaneo non solo italiano che condanna senza processo, la carriera dell’odiato professore è comunque rovinata.
Il corto di Marco Di Gerlando e Ludovica Gibelli, sin qui esemplare pur nella sua dimensione a tesi, perde qualche colpo forse solo nella descrizione dei ragazzi percepiti in chiave un po’ troppo bidimensionale. E poco riescono a fare gli ultimi primi piani che, liberando lo sguardo dello spettatore dalla violenza consumata sul docente, fermano l’attenzione sul controcampo dei ragazzi le cui maschere di odiosa crudeltà un po’ si incrinano di fronte all’orrore delle loro stesse azioni.
Per il resto il corto rivela una buona cura formale, un gruppo di interpreti con le facce tutte giuste e un buon uso della musica di commento con Pergolesi che regala un soprassalto quasi pasoliniano a un racconto che si discosta poi moltissimo dal possibile ed eccessivamente ingombrante modello.
La riflessione proposta dal corto è, però, importante. E andrebbe senz’altro valorizzata il più possibile.
Tweeting: Un corto sulla scuola e le sue contraddizioni nell’Italia di oggi.
Whereto: Non ancora uscita, ma presto, si suppone, in giro per i festival.
(Il bacio di Giuda); Regia: Marco di Gerlando, Ludovica Gibelli; sceneggiatura: Marco di Gerlando, Ludovica Gibelli; fotografia: Marco Di Gerlando; montaggio: Marco Di Gerlando; musica: Giovanni Battista Pergolesi; interpreti: Ruben Bottardi, Marida Canonero, Raffaele Caruso, Simone Costa, Marianna Ligalupo, Matteo Magnoni, Elia Romano, Mauro Pirovano; produzione: Scuola di Cinema per ragazzi ZuccherArte; origine: Italia, 2019; durata: 19’