Gong!
Elsa (bravissima Benedetta Buccellato) ama il teatro. Perlomeno così dice.
Ama gli spettacoli più sperimentali e trasgressivi. Quelli che non hanno un orario di inizio ben definito perché bisogna aspettare che si crei il giusto equilibrio tra le aspettative del pubblico e i bisogni artistici dei registi. Quelli in cui l’attore è meglio se è un gommista recuperato in tutta fretta a Trastevere che tanto la sua azione è prima di tutto espressione di una realtà di classe; magari intrecciata a qualche pratica sessuale trasgressiva e anche un poco lercia.
Elsa, di professione architetto, è sposata a Luigi che, invece, è uno psichiatra. Di teatro a lui importa poco. Un tempo magari faceva finta, ma con l’approssimarsi della pensione, preferirebbe piuttosto starsene davanti alla televisione nel più dorato disimpegno. La cura maggiore la dedica alla preparazione di pranzi e cene da consumarsi nei luoghi e nei tempi più appropriati.
Interno sera. In una casa piuttosto radical chic. Con tanto gusto per la provocazione. Ma quella al fondo bonaria, che non fa troppo male e che non getta aceto su ferite ancora aperte.
Così comincia Gong!: da premesse leggere.
Non succede niente, in fondo, nel racconto che gira tutto intorno alla cottura di un cosciotto d’agnello e alla decisione se andare a meno a vedere uno spettacolo già visto anni prima, ma totalmente riscritto, così pare, nell’organizzazione scenica.
Ma dietro al fuoco di fila delle battute che i due personaggi si scambiano in un crescendo a tratti rossiniano, si nasconde una riflessione arguta su tanta sedicente intellighenzia di stampo italiano.
Il fatto che lui, Luigi (Antonio Catania sopraffino) sia uno psichiatra potrebbe portare erroneamente a pensare che il modello di riferimento del corto sia un certo Woody Allen (quello di Manhattan, magari, per via del bianco e nero). In realtà a guardare Gong!, col sorriso sempre più divertito, viene da pensare che la cosa che più si avvicina al suo spirito sia piuttosto certo teatro di Yasmina Reza, magari quello di Le Dieu du Carnage che pure, dopo tante scene, è stato al cinema con la firma di Polanski (il che riporta a un altro bianco e nero, quello dei suoi primi film).
Come nel capolavoro teatrale, anche in Gong! in fondo non succede granché. L’azzerarsi del percorso narrativo, lì come qui, è funzionale a un cadere di maschere sociali che è il vero centro del motore drammaturgico. Non ha importanza, ci dice il corto di Giovanni Battista Origo, con quanta forza ci siamo autoconvinti che siano vere le finzioni che ci ha imposto la classe sociale alla quale apparteniamo, basta appena un inghippo (meglio se davvero minimo come la scelta se andare o meno a teatro) che ecco che si fa una crepa nel nostro vivere e sotto, neanche tanto in fondo, si intravede il non senso di ogni cosa (ancora, quindi, non a caso, Polanski).
Gong!, riporta il tutto in forma. Opera su un testo in fondo teatrale, ma ci compone sopra la chiara architettura di piano sequenza in cui la macchina da presa non sta ferma per un secondo che sia uno. Funziona alla grande sino a che non entra in campo il personaggio del figlio che appare, forse, troppo sbilanciato su registri comici e caricaturali rispetto al più piano realismo dei genitori per non creare un eccesso di scompenso. E chiude in nell’ammiccamento di uno sguardo in macchina che sembra più un modo per chiudere i conti con lo spettatore che non un’esigenza reale d’espressione.
Eppure, spesso, con una forza che non ti saresti aspettato, il divertimento cede il passo a un senso di inquietudine che è proprio di qualcuno che ti dice qualcosa di importante. E non è poco per un corto che aspirava soprattutto a divertire.
Tweeting: Un divertentissimo crescendo rossiniano innestato da un’azione quotidiana smaschera non poche convenzioni sociali.
Where to: Visto al Festival Filoteo Alberini di Orte
(Gong!); Regia e sceneggiatura: Giovanni Battista Origo; fotografia: Tiziano Bernardini; montaggio: Italo Pechinese; interpreti: Antonio Catania, Benedetta Buccellato, Marco Bonadei; produzione: Amaro Produzioni; in collaborazione con Raya Visual Art; origine: Italia, 2017; durata: 16’ 37’’