Benvenuti ... ma non troppo

Benvenuti ... ma non troppo è il classico film francese che usa un tono da commedia per irridere la società radical chic intellettualoide di sinistra borghese, che vive di paroloni ma che resta attaccata ai propri privilegi con il Bostick. La trama prende inizio sopra le righe: un inverno rigidissimo costringe il governo a misure speciali: chiunque ha un appartamento con delle stanze libere dovrà accogliere coloro che non hanno il privilegio di un tetto sopra la testa. Nel lussuoso condominio al numero 86 di rue du Cherche Midi due famiglie - i Dubreuil e i Bretzel - una esosamente ricca e senz’anima e un’altra dai solidi valori democratici declamati a gran voce nei 120 metri quadri senza porte ma solo tende bianche trasparenti, agiranno al peggio per conservare agi e abitudini personali, tentando la salvaguardia di equilibri destinati piuttosto a vacillare.
Gag già viste, recitazione affettata, battute spiritose ma prevedibili il film spinge solo sul paradosso della situazione iniziale sviluppando la storia in direzione di una redenzione automatica di entrambe le famiglie. L’attacco alla sinistra è banalmente proporzionale alla rivalutazione del manager fulminato sulla via di Damasco (Didier Bourdon). Una scrittura molto francese, battute ironiche senza volgarità, leggerezza meritevole di pregio. Gli attori apportano alla trama visi da caratteristi adeguati ai ruoli, aderenza ai personaggi, movimenti e gesti propri. Tutti gli elementi del puzzle sono al loro posto, come in un manuale di sceneggiatura o come imparato durante un corso americano da migliaia di dollari, c’è il crescendo, c’è evoluzione, c’è il viaggio dell’eroe: la trasformazione dell’uomo arido in cittadino rispettoso, cambiamento dovuto al cuore e non al cervello: sposato a una donna ancora bellissima (Karin Viard) ma spigolosa e formale, si illanguidisce per la barbona pigra e obesa che con occhi ipertiroidei gli esalta i piaceri della vita sotto i ponti, condivide con lui amicizie puzzolenti, una bottiglia di vino, il giaciglio rimediato sotto la tavola in salotto.
Alcune scene sono più riuscite di altre: la madre sinistrorsa (Valérie Bonneton) che dimentica la figlia in casa da sola a due anni e che, quando la va a prendere all’asilo, va in escandescenze con la maestra cinese che le dice che quella mattina la bambina non è mai arrivata in classe; la figlia ricca cicciona e arrabbiata che suona il violoncello al posto di rispondere a parole ai genitori infelici più di lei; lo scrittore (Michel Vuillermoz) che festeggia l’ultima pagina del suo sofferto romanzo brindando con le decine di africani che dormono nel grande salone e che, per l’occasione, inscenano canti e balli tradizionali; la portiera (interpretata magnificamente da Josiane Balasko) criptofascista che diventa trafficante di migranti da un quartiere all’altro della città frodando gli odiati inquilini.
La regista Alexandra Leclère ha voluto giocare con temi sociali inserendoli a pieno nel tessuto multirazziale parigino ergendolo a esempio universale di convivenza pacifica auspicata e auspicabile. Dichiara di aver voluto porre l’impegno obbligatorio alla solidarietà ai suoi personaggi. Ha compiuto questo intento usando toni da commedia leggera, allegra, scritta in punta di penna, che non graffia mai, non fa mai storcere la bocca in una smorfia di alcun genere, che sia fastidio, ribrezzo, paura dell’altro. Se avesse osato maggiormente calcando la verosimiglianza al posto del paradosso al fine di produrre un sorriso a tutti i costi, il buon proposito avrebbe potuto diventare anche un buon film. Raté.
(Benvenuti ... ma non troppo); Regia: Alexandra Leclère; sceneggiatura: Alexandra Leclère; fotografia: Jean-Marc Fabre; montaggio: Philippe Bourgueil, Andrea Sedlackova, Ronan Tronchot; musica: Phlippe Rombi; interpreti: Karin Viard, Didier Bourdon, Valérie Bonneton, Michel Viullermoz, Josiane Balasko, Patrick Chesnais; produzione: Pan Européenne, Wild Bunch, France 2 Cinéma; distribuzione: Officine Ubu; origine: Francia, 2016; durata: 102’;
