Berlino 2008 – Heart of Fire - Concorso

Heart of fire, opera seconda di Luigi Falorni (già candidato all’Oscar con La storia del cammello che piange), ispirata all’autobiografia della scrittrice e cantante Senait G. Menhari, continua a scatenare furiose polemiche politiche sui bambini-soldato in Eritrea. Dopo il divieto del governo eritreo di girare nel paese e il conseguente ripiego sul Kenya, tutti gli attori non professionisti inizialmente ingaggiati hanno abbandonato il set in seguito a telefonate di minaccia e si è dovuto rifare tutto il cast. Una ulteriore querelle è poi scoppiata alla fine di gennaio, con la controversia legale aperta dagli ex compagni di scuola dell’autrice africana (figlia di padre eritreo e madre etiope), che sostenevano che non era vero che l’autrice da piccola fosse stata addestrata in un campo militare, e conclusasi con la condanna per diffamazione della donna. Oggi esponenti della comunità eritrea tedesca hanno protestato davanti al Berlinale Palast sostenendo che Heart of fire manipola la storia nazionale e dice solo falsità. Di cosa parla dunque il film? “Solo liberamente ispirato” al bestseller della Menhari, precisa Falorni, è la storia di una bambina eritrea che negli anni Ottanta viene improvvisamente tolta dal collegio gestito da suore italiane ad Asmara, per essere restituita ad una famiglia che non sapeva nemmeno di avere. Una volta a casa viene “donata” dal padre insieme con la sorella maggiore a uno dei due eserciti ribelli indipendentisti che si combattono nel paese, perchè sia allevata per contribuire alla causa. La piccola Awet dunque si ritrova improvvisamente catapultata da un sistema di vita confortevole e occidentalizzato nel mezzo di una foresta dove viene addesatrata militarmente insieme ad altri bambini: inizialmente affascinata dalla figura della carismatica comandante Ma’aza, non riesce a convincersi della giustezza di una guerra contro eritrei che hanno il suo stesso colore di pelle e di capelli, le stesse armi e gli stessi poveri sandali di gomma ai piedi.
Che sia vero o meno che ci siano stati bambini-soldato in Eritrea e che la loro sorte sia stata meno spaventosa degli orrori che accadono ancora oggi in Sierra Leone o in Uganda, basta comunque vedere una bambina di pochi anni con un fucile carico in mano per sentire un brivido dietro la schiena. Da un punto di vista strettamente cinematografico però, Falorni sacrifica qualsiasi aspetto di denuncia in favore di una narrazione che ha il carattere della parabola evangelica del porgere l’altra guancia, in quanto per il regista esprime “la sua idea di Gesù come combattente per la libertà”. Parabola esplicitamente citata dalle suore del collegio e poi messa in pratica dalla stessa Awet nel rapporto con i suoi superiori militari, in maniera un po’ troppo didascalica e non sempre credibile. Non è un film di denuncia, d’accordo, è un film di speranza ma la capacità di ribellione di una bambina di pochi anni (interpretata meravigliosamente dalla piccola Letekian Micael), ad un sistema così coercitivo e fanatico e soprattutto al lavaggio del cervello operato da questo sembra sinceramente idealizzata.
(Heart of Fire) Regia: Luigi Falorni; sceneggiatura: Luigi Falorni, Gabriele Kister, liberamente tratto dall’autobiografia di Senait G. Mehari; fotografia: Judith Kaufmann; montaggio: Anja Pohl; musiche: Andrea Guerra; interpreti: Letekian Micael (Awet), Solomie Micael (Frewevini), Seble Tilahun (Ma’aza), Daniel Seyoum (Mike’ele), Mekdes Wegene (Amrit), Samuel Semere (Haile); produzione: TV60 Film in collaborazione con Senator Film Production, Berlin Aicholzer Filmproduktion, Wien Beta Cinema, München Arte; origine: Germania/Austria 2008; durata: 92’.
