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BERLINO 2008 – JULIA - CONCORSO

Pubblicato il 10 febbraio 2008 da Giovanella Rendi


BERLINO 2008 – JULIA - CONCORSO

Malgrado nel frattempo abbia diretto anche Le petit Voleur, Erick Zonca rimane nell’immaginario collettivo cinefilo come l’autore di quel piccolo capolavoro che è La vita sognata degli angeli, uno di quei miracoli che ogni tanto il cinema riesce ancora a realizzare, sorprendendoci, funambolicamente in bilico su una corda tesa tra il male di vivere e la speranza e senza mai cadere sulla rete. Dopo quasi dieci anni di silenzio, Zonca torna alla regia, questa volta con “qualcosa di completamente diverso”, come direbbero i Monty Python, ovvero una pellicola girata tra gli Stati Uniti e il Messico e anzichè lanciare attrici di fatto sconosciute (come è stato il caso di Elodie Bouchez e Natacha Régnier, premiate a Cannes per la migliore interpretazione) si affida ad un’interprete come Tilda Swinton. Una scelta che lascia perplessi non tanto per la bravura dell’attrice, che anzi ha modo di esprimere tutto il suo talento e la sua sensualità in un ruolo per lei anomalo, ma soprattutto per una questione di physique du role: l’algida e aristocratica musa di Jarman è qui trasformata in Julia, una donna di modesta estrazione, che conduce una vita allo sbando in attesa della definitiva caduta agli inferi, e che vede una via di fuga nel rapimento del figlio di una messicana conosciuta ai raduni degli alcoolisti anonimi. Dire più sulla sinossi non è possibile, non tanto per non rovinare allo spettatore qualche sorpresa, quanto perchè Julia è impossibile da riassumere, essendo quasi un trittico, articolato in tre movimenti di dramma, road movie e thriller vero e proprio. Esplicitamente ispirato a Gloria di Cassavetes, il film esprime il talento del regista e degli interpreti sostanzialmente nella prima parte, quando si delinea gradualmente un ritratto di donna crudo e lontano da qualsiasi patetismo, anzi piuttosto duro e respingente, come è giusto che sia quando si ha a che fare con una patologia per nulla romantica come quella dell’alcoolismo. Zonca e Aude Py nel ruolo di sceneggiatori, coadiuvati dalla bravura della Swinton e di Kate del Castillo, disegnano con efficacia la logica delirante degli alcoolizzati, la loro debolezza, la loro capacità di ingannarsi, sfruttando il loro prossimo con cinismo. Se nella sua lucida follia, infatti, a Julia appare possibile l’idea di rapire il piccolo Tom per chiedere un riscatto che la sistemerà economicamente tutta la vita, allo stesso modo appare assolutamente incapace di comprendere e gestire le reazioni di un bambino di otto anni, cui non sa far altro che puntare la pistola alla testa e legarlo alla doccia quando deve andare a procacciarsi dell’alcool. Questo spietato e disturbante atteggiamento lascia però posto allo svilupparsi di un sentimento paradossale di affetto tra Julia e Tom, secondo uno schema non dissimile da molte altre pellicole sul tema strana coppia adulto-bambino (in questo caso la prima che viene alla mente è Central do Brasil di Salles, con cui condivide peraltro il crudo cinismo iniziale).
La crudeltà, che costituisce il vero punto di forza di questo film, si stempera però gradualmente nel susseguirsi quasi incessante di avvenimenti: il road movie con la fuga tra motel e deserto fino a sfondare (letteralmente, con la macchina) la frontiera per ritrovarsi in un Messico da cartolina “sporca”, pieno di seduttori da strapazzo, criminali, sporcizia, vagabondi, polizia corrotta però anche bei panorami e finalmente la pace dell’anima (un po’ come l’Italia degli anni Cinquanta per le sprovvedute turiste dei film americani). Il trittico si conclude con una brusca virata sullo stile di Iñarritu di Amores Perros, costellata da una impressionante sequenza di morti ammazzati, rottweiler e messicani strafatti di cocaina, in cui Julia non perde la sua freddezza e la decisione di porsi per Tom come sostituto materno. Il parossismo di violenza, di continui colpi di scena e di inspiegabili lacune (che fine ha fatto la vera madre di Tom, misteriosamente scomparsa a metà del film?), la durata eccessiva finiscono per stancare lo spettatore, ormai stanco di credere alle invenzioni di Zonca, così come i personaggi sullo schermo non credono più alle bugie di Julia.


CAST & CREDITS

Regia: Eric Zonca; sceneggiatura: Eric Zonca, Aude Py; fotografia: Yorik Le Saux; montaggio: Philippe Kotlarski; musiche: Elise Luguern; interpreti: Tilda Swinton, Aidan Gould (Tom), Saul Rubinek (Mitch), Kate del Castillo (Elena), Jude Cicolella (Nick), Bruno Bichir (Diego); produttori: François Marquis, Bertrand Faivre; co-produzione: France 3 Cinéma, Studio Canal, Les Productions Bagheera; origine: Francia 2008; durata: 138’.


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