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Berlino 2009 - Barbe bleue - Panorama

Pubblicato il 8 febbraio 2009 da Giovanella Rendi


Berlino 2009 - Barbe bleue - Panorama

Al nome di Catherine Breillat ormai si associa automaticamente l’idea di sesso, tormentata scoperta della propria fisicità, sdoganamento d’autore di Rocco Siffredi, film-scandalo, insomma provocazione. Poco si pensa alla valenza politica che spesso le sue opere nascondono in filigrana dietro una violenza che non è mai gratuita (proprio in virtù del fatto che è mostrata come tale, si pensi al finale di À ma soeur) e alla sincerità dell’autrice nell’analisi dei rapporti umani, anche se talvolta in bilico sul ridicolo di certi dialoghi.
Davanti alla trasposizione cinematografica della famosissima favola di Charles Perrault era legittimo attendersi, o quantomeno sospettare, che l’elemento grandguignolesco già presente a livello letterario potesse dare adito ad una pellicola quantomeno fortemente disturbante, aperto com è ad una serie di possibili interpretazioni legate alla sessualità. Breillat, invece, sorprende con un film di grande raffinatezza estetica in cui ripropone, tra la favola e il ricordo, i suoi temi favoriti del rapporto tra sorelle e il sottile gioco della seduzione erotica che non si esplicita in atto sessuale. Suoi alter ego sono Marie-Catherine, giovane e bella moglie di Barbablu nella provincia francese seicentesca, e Catherine, una vivacissima bambina che legge alla sorella maggiore la favola (in un’epoca imprecisata più vicina all’oggi), in cui si identifica a tal punto da entrare nella ricostruzione storica proprio nel momento più terrificante, camminando nel sangue nella stanza dove si trovano i cadaveri delle mogli precedenti. Entrambe sono accomunate dall’assenza della paura della morte, ed entrambe finiranno per causare con crudele innocenza la morte di chi sta loro accanto.
Un rapporto di amore-odio lega anche Marie-Catherine e la bellissima sorella maggiore Anne, a cui comunque viene preferita dall’ “orco” in virtù della sua personalità indipendente e dal suo essere diversa da tutte le altre. Raggiunto il suo scopo di vivere nella ricchezza e di essere per la prima volta al centro dell’attenzione, Marie Catherine non può fare a meno di sentire la mancanza di quella che è una parte di sè, per quanto detestata e avvelenata dalla competizione erotica.
La struttura narrativa del film segue quella ben nota della favola, tuttavia una parte consistente si articola sul gioco di seduzione tra Marie-Catherine e il “mostro”, come egli stesso si definisce, e che dà quasi adito al sospetto di una trasformazione in positivo della vicenda, quasi come “la bella e la bestia”: Barbablu è sì un uomo dall’aspetto sgradevole, ma nasconde una grande sensibilità e una profonda cultura scientifica che affascinano la giovane moglie. La spietatezza della favola, che qui appare ancora più crudelmente immotivata, spezza un rapporto che all’elemento erotico inespresso aggiunge anche una affinità psicologica: entrambi nella società sono considerati dei diversi, Marie-Catherine per l’originalità della sua visione delle cose e il coraggio di oltrepassare le convenzioni sociali dell’epoca.
Per rappresentare la crudeltà infantile della favola, Breillat sceglie una scenografia estremamente accurata, articolata “politicamente” sul contrasto tra gli ambienti nudi e spogli della povertà e del convento, e la sovrabbondanza di cibo, abiti ricamati e gioielli del castello, entrambi comunque pervasi da una sottile, anche se diversa tensione sensuale. Sensualità che supera anche la morte del “mostro”, del quale la giovane sposa accarezza la testa tagliata, come una sorta di Salomè.


CAST & CREDITS

Regia e sceneggiatura: Catherine Breillat; fotografia: Vilko Filac; montaggio: Pascale Chavance; costumi: Rose-Marie Melka; interpreti: Dominique Thomas, Lola Creton, Daphné Baïwir, Marilou Lopes-Benites, Lola Giovannetti, Farida Khelfa; produzione: Flach Film; origine: Francia 2009; durata: 80’.


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