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Berlino 2009 - Germania 09: 13 cortometraggi sullo stato della nazione - Fuori concorso

Pubblicato il 12 febbraio 2009 da Giovanella Rendi


Berlino 2009 - Germania 09: 13 cortometraggi sullo stato della nazione - Fuori concorso

Tredici registi, tredici piccoli film sullo stato delle cose nella Germania di oggi. Ventuno anni dopo Fassbinder, Kluge, Reitz, Schlöndorff, Brustellin, Sinkel e gli altri, che presentarono proprio alla Berlinale il loro film collettivo, girato a caldo nei terribili mesi del 1977, il festival ospita un nuovo progetto a più voci, fortemente voluto e coordinato dal regista Tom Tyckwer.
Va detto subito che qualsiasi paragone con Deutschland im Herbst è sleale, i tempi sono cambiati, il modo di fare cinema è cambiato, la Germania stessa, soprattutto, è cambiata. Quello che colpisce dunque di questo eterogeneo mosaico è proprio il fatto che, nella maggior parte dei casi, i crimini di cui viene accusato lo stato sono gli stessi della maggior parte dei paesi del primo mondo: le disparità economiche e sociali, la tirannia della burocratizzazione, i rigurgiti dell’estrema destra, la sudditanza agli Stati Uniti e alla loro recente politica bellica, il controllo capillare e generalizzato della popolazione con l’alibi della sicurezza, la guerra preventiva al terrorismo e le sue vittime innocenti.
Pochi sono i temi trattati veramente tedeschi: tra questi spicca in particolare l’episodio diretto da Dominik Graf e Martin Gressman, un doloroso commiato dal passato tedesco rappresentato dagli ultimi edifici antichi che presto saranno demoliti per far spazio a grattacieli moderni e soprattutto trasparenti, come vuole la Welltanschauung corrente, dato che “ogni nuova dittatura si premura subito di cambiare due cose, la lingua e l’architettura”. La frenesia di costruire continuamente sulle rovine, in particolare nel cantiere-Berlino ma anche nel resto della Germania, costituisce da sempre il sintomo dell’amnesia nazionale, della notoria difficoltà a venire a patti con il suo passato, preferendo la rimozione alla rielaborazione.
Alcuni registi, come Fatih Akin e Hans Weingartner, si soffermano su precisi “scandali” della recente storia tedesca, perchè non vengano dimenticati: è il caso di Der Name Murat Kurnaz, che denuncia l’abbandono da parte del governo tedesco di un suo cittadino di origine persiana detenuto per anni a Guantanamo malgrado la sua innocenza, e di Gefährder, vera storia del sociologo Andrej Holm, arrestato e detenuto per 11 mesi in nome della guerra preventiva al terrorismo dopo mesi di intercettazioni telefoniche su di lui e migliaia di altre persone.
È giusto non dimenticare, ma nell’insieme di questi film c’è qualcosa che suona irrimediabilmente stonato: ed è il fatto di non saper gestire bene il rapporto tra politico e privato. Spesso, come nel caso di Nicolette Krebitz (che fa incontrare i due miti della sua adolescenza Ulrike Meinhof e Susan Sonntag, interpretate rispettivamente da Sandra Hüller e Jasmina Tabatabai) o di Hans Steinbichlers (il cui protagonista giustizia a colpi di pistola la redazione della Frankfurte Allgemeine Zeitung), la denuncia politica è troppo scoperta e sconfina nella lezioncina moraleggiante e noiosa. Meglio allora affrontare il tema dell’immigrazione partendo dalle perversioni sessuali dei tedeschi, come Romuald Karmakar, in cui il grottesco si trasforma infine in un sofferto grido di nostaglia per la Heimat lontana.
Non mancano, va detto, momenti sinceramente esilaranti, in particolare l’episodio di Dani Levy Jeoshua, in cui il regista immagina una medicina per curare i tedeschi dal loro atavico pessimismo e trasformi la Germania in un paese idilliaco dove tutti si vogliono bene. La medicina però ha degli strani effetti collaterali, e gli viene prescritta da un eccentrico psichiatra che annovera tra i suoi pazienti anche una sconfortata Angela Merkel. L’episodio di Levi funziona perchè è l’unico che ha il coraggio di rischiare in prima persona e mettere in scena le sue paure di tedesco ed ebreo, per sè e la sua famiglia (il Jeoshua del titolo è il suo vero figlio di 4 anni, che ad un certo punto viene addirittura acclamato dai neonazisti come il nuovo messia).
È bene comunque fare il punto della situazione, o almeno provarci “a futura memoria” e sarebbe interessante se qualcuno avesse il coraggio di fare un esperimento del genere in Italia. Nessuna immagine di questo film è però lontanamente paragonabile a quelle di una donna hippy con una bambina per mano mentre Joan Baez canta la “Ballad of Sacco and Vanzetti”.


CAST & CREDITS

(Deutschland 09, 13 kurze Filme zur Lage der Nation); Regia: Angela Schanelec, Dani Levy, Fatih Akin, Nicolette Krebitz, Sylke Enders, Romuald Karmakar, Wolfgang Becker, Christoph Hochhäusler, Dominik Graf, Martin Gressmann, Isabelle Stever, Hans Weingartner, Tom Tykwer, Hans Steinbichler; produttori: Dirk Wilutzky, Verena Rahmig; produzione: Herbstfilm Produktion GmbH; origine: Germania, 2009: durata: 140’.


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