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Berlino 2009 - Human Zoo - Panorama

Pubblicato il 8 febbraio 2009 da Salvatore Salviano Miceli


Berlino 2009 - Human Zoo - Panorama

Sceglie un tema difficile Rie Rasmussen per il suo esordio nel lungometraggio e lo affronta con sorprendente eclettismo, portando all’estremo le regole del montaggio e confondendo dal primo all’ultimo minuto le parentesi temporali in cui si svolge la storia che porta sullo schermo. Riesce nell’intento solo in parte, scadendo a volte nel ripetitivo e nel didascalico, affidandosi troppo spesso a passaggi narrativi non sempre risolti e seguendo uno stile che affascina ma al contempo svela un certo manierismo e una qualche forma di autocompiacimento dello sguardo. Inquadrature improbabili, ma comunque interessanti visivamente, si susseguono senza una esatta e soddisfacente giustificazione.
Adria, questo il nome del personaggio cui la Rasmussen stessa presta il volto, è di sangue per metà serbo e per metà albanese. Il passato ci riporta agli novanta, in piena guerra del Kosovo, con una giovane protagonista in procinto di essere stuprata e poi salvata da un soldato disertore che decide di smettere i panni militari per diventare uno dei più feroci killer ed esponenti della malavita di Belgrado. Figura che viaggia sul sottile confine tra un nichilismo esasperato e romantici ideali di vendetta, renderà la giovane protagonista sua “fedele” seguace, a lui del tutto assoggetata, e poi amante. Il presente mostra, invece, una Adria cresciuta, immigrata clandestina a Marsiglia, che quasi senza accorgersene si ritrova trascinata in una escalation di violenza di cui lei sarà la principale spietata artefice.
Come detto, Human Zoo sfrutta il montaggio per confondere passato e presente mostrandoci (questo sembra l’intento principale della regista) la stretta connessione che conduce il secondo ad essere diretta conseguenza del primo, giustificando, o meglio, illustrando, quella spirale secondo cui da violenza non può che uscire e generarsi una violenza ancora più esasperata, per quanto pervasa da una profonda ricerca di libertà e, in qualche modo, di giustizia.
C’è molto di esplicito nel film, dalle scene erotiche per nulla limitate (e di cui a volte si avverte un uso troppo abusato) al cruento che si esplicita in dita mutilate, omicidi a sangue freddo e via dicendo. Per quanto forti ed incisive certe sequenze, Human Zoo si fa apprezzare più per la sfrontatezza con cui la Rasmussen decide di cimentarsi con la costruzione del racconto che per la effettiva compiutezza finale. Avvalendosi di un ritmo sostenuto, di uno sguardo comunque disilluso e feroce nei confronti sia del passato che di un ipotetico presente, il film si lascia guardare senza troppi affanni. La sensazione finale però resta sospesa, interdetta dalla enorme quantità di azioni ed eventi portati in scena e da qualche banalità di troppo. C’è da apprezzare però il coraggio della giovane musa di Besson, qui nelle vesti di produttore, e la voglia di lanciare un grido, proprio come fatto in sala a fine proiezione, che rivendichi una libertà reale e sincera per ogni donna.


CAST & CREDITS

(Human Zoo) Regia, soggetto, sceneggiatura, montaggio: Rie Rasmussen; fotografia: Thierry Arbogast; musica: Chris Marshall, Illinav Illim; interpreti: Rie Rasmussen (Adria Shala), Nikola Djuricko (Srdjan Vasiljevic), Nick Corey (Shawn Reagan), Vojin Cetkovic (Alex), Hiam Abbass (Mina); produzione: Europa Corp.; distribuzione: Europa Corp.Distribution; origine: Francia; durata: ‘110;


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