Berlino 2009 - Mammoth - Concorso

Non è un mistero che fare un film pessimista, intimista, sulla propria realtà nazionale sia ben più facile che elevarsi al di sopra di tutto e tentare addirittura di riassumere in una sola opera tutti i danni della globalizzazione, le colpe del primo mondo nei confronti di tutti quelli che vengono dopo, ridimensionare tutto con una botta di pessimismo e poi lasciare uno spiraglio aperto con il miracolo della vita e altre amenità da spicciolo qualunquismo da autobus.
Lukas Moodysson, autore dei ben riusciti Fucking Åmal e Lilya 4 ever, tenta il grande salto con il “mosaico-impegnato-a tema” alla Babel o alla Crash e puntualmente incappa in tutti gli errori e i luoghi comuni previsti dal genere: schiera il cast internazionale, una serie di locations che vanno da New York a Bangkok, passando per le Filippine, denuncia una serie di nefandezze peraltro ben note anche all’uomo della strada (che in Thailandia ci sia prostituzione di minorenni non è un mistero) e fa quasi magicamente incastrare tutto. A pagare le colpe della società capitalistica sono, come spesso accade, i bambini: ed ecco allora la piccola e matura Jackie che i superimpegnati genitori in carriera a New York abbandonano nelle mani della dolcissima tata filippina, la quale a sua volta ha dovuto lasciare i suoi figli piccoli che, nel tentativo di guadagnare qualche soldo e riavere prima la loro madre, si mettono in gravi guai. Il giovane uomo d’affari in Thailandia per vendere il nulla (una sorta di youtube fatta di videogiochi che gli frutta oltre 40 milioni di dollari) si fa intenerire dalla giovane prostituta, a sua volta di madre di un neonato, medita di aprire fondazioni di beneficenza e poi la abbandona lasciandole la sua preziosissima penna fatta con resti di mammut (di qui il titolo) che lei rivende disperata per una ventina di dollari. La moglie, chirurgo al pronto soccorso, trascura la figlia ma si affeziona morbosamente ad un bambino in coma dopo essere stato accoltellato dalla madre. “È perfetta” si intenerisce però il giovane yuppi tenendo in braccio la figlia, tornato a casa sano e salvo.I bambini sono le vittime innocenti, ma in fondo sono loro che ci salveranno.
Ci sono film che non riescono proprio e questo è uno di loro: a cominciare dalla recitazione attonita di Gael Garcia Bernal, e a seguire dalle immagini da cartolina kitsch che si susseguono e, soprattutto, dalla lezioncina moraleggiante che sottende ogni singola scena: gli americani ricchi con frigoriferi enormi che sprecano il cibo mentre i bambini filippini frugano nelle discariche, le donne del terzo mondo costrette a diventare madri adottive di piccoli sconosciuti mente i loro figli piangono la loro assenza, gli occidentali ipocriti che credono di salvare le baby prostitute e invece se ne fregano, pure l’inquinamento di Bangkok da cui i ricchi si salvano solo perchè passano dall’aria condizionata della limousine a quella della suite imperiale di un albergo. L’incontro con un elefante dovrebbe riportare all’innocenza perduta, ma non ci riesce. Persino l’animale sembra piuttosto irritato e sinceramente non possiamo dargli torto.
Regia e sceneggiatura: Lukas Moodysson; fotografia: Marcel Zyskind; montaggio: Michael Leszczylowski; musica: Jesper Kurlandsky, Erik Holmquist, Linus Gierta; interpreti: Gael García Bernal, Michelle Williams, Marife Necesito, Sophie Nyweide, Run Srinikornchot, Tom McCarthy: produzione: Memfis Film Rights 6 AB; origine: Svezia, Germania, Danimarca 2009: durata: 120’.
