Berlino 2009 - My one and only - Concorso
A confermare l’opinione corrente della critica alla Berlinale circa un concorso piuttosto fiacco, più forte sulla carta che sullo schermo, è la presenza di un film come My one and only, che normalmente sarebbe stato destinato ad evento “mondano”, fuori dal girone competitivo principale. E che, ciononostante, il film sia stato accolto da applausi scroscianti da buona parte dei presenti alla proiezione stampa, non promette nulla di buono.
My one and only, diretto dall’eclettico Richard Loncraine, che vanta a suo attivo un ottimo Riccardo III con Ian McKellen e il tennistico-sentimentale Wimbledon, è una piacevolissima commedia, con un fuoco di fila di battute brillanti, confezionata abilmente come uno spot pubblicitario anni Cinquanta (epoca in cui peraltro è ambientato), come suggerito dal montaggio di commercials d’epoca sui titoli di testa. Grazie soprattutto a scenografie, abiti e decor così accattivanti, il film rievoca uno Zeitgeist naif degno di un film di Doris Day, quando le donne erano sempre elegantissime e si cambiavano cinque volte al giorno, i signori offrivano loro champagne e orchestre di musicisti in giacca bianca suonavano motivi orecchiabili.
Qualcosa ovviamente nel frattempo è cambiato, i gentiluomini se la filano senza pagare il conto (anzi scippando il portafoglio della signora che era andata alla toilette ad incipriarsi il naso), le signore eleganti e sole che intavolano conversazioni con estranei sono arrestate per prostituzione, e dietro un delizioso negoziante di provincia si può nascondere un adorabile psicopatico.
Il ritmo brillante e sincopato della narrazione, che rispecchia i motivi dell’epoca (e in particolare quello del titolo, unica hit di successo del direttore d’orchestra swing Kevin Bacon) non impedisce al film di essere una deliziosa sequenza di pellicole già viste: la sempiterna storia della madre rimasta sola (qui abbandona il marito fedifrago dopo l’ennesimo tradimento) che vaga di città in città alla ricerca di un marito ricco o di un lavoro, trascinandosi dietro una recalcitrante prole, ripercorre brillantemente tutti i topoi del genere, da Alice non abita più qui a Mermaids. Nè aiuta il personaggio di Ann Devereaux, che di suo sarebbe adorabile nella sua commistione di ingenuità e opportunismo, l’interpretazione come al solito tutta smorfiette di Renée Zellweger. Una menzione merita invece il personaggio del primogenito cripto-gay che, durante gli spostamenti in macchina, ricama devotamente le varie tappe del viaggio su una camicia bianca.
Tratto dalle memorie dell’attore George Hamilton, My one and only è un prodotto a suo modo perfetto, che ha tutte le carte in regola per reguistrare un buon successo commerciale, neanche immeritato se si escludono i difetti di cui sopra e una regia colorata ma succube della narrazione. Resta da capire come mai sia stato inserito in concorso a Berlino: a parte la possibilità di bissare il successo di Happy-go-lucky, (che con tutta la sua iperglicemia non si sogna nemmeno di fare lezioncine moraleggianti sui rapporti familiari a ogni piè sospinto) non viene in mente nessun altro valido motivo.
(My one and only); Regia: Richard Loncraine; sceneggiatura: Charlie Peters; fotografia: Marco Pontecorvo; montaggio: Humphrey Dixon; musica: Mark Isham; interpreti: Renée Zellweger, Logan Lerman, Kevin Bacon, Troy Garity, David Koechner; produzione: Runaway Home Productions; origine: Usa 2009; durata: 108’