Berlino 2009 - Storm - Concorso

Mi sono interrogato sull’integrità della giustizia oggi e di quanto questa integrità possa essere influenzata dalla politica“. Così il regista Hans-Christian Schmid spiega le ragioni che hanno portato alla realizzazione di Storm, uno dei molti (qualcuno ha detto anche troppi, ma forse erano solo gli strascichi delle polemiche italo-tedesche dei giorni scorsi) film tedeschi presenti alla Berlinale, di sicuro uno dei più attesi da pubblico e critica. E questo non solo perchè Schmid è uno dei più interessanti e impegnati autori di una neanche più tanto giovane generazione (malgrado l’aspetto da eterno ragazzino è nato nel 1965) e un affezionato ospite del festival, ma proprio per l’argomento al centro di questa sua ultima opera.
Il tema della commistione tra giustizia e politica, in Italia tristemente noto e ormai praticamente fuori controllo, assume in questo caso connotati particolarmente sinistri ed inquietanti, in quanto la pellicola svela i retroscena che si nascondono dietro la Corte Internazionale de L’Aja e i processi a crimini di guerra svoltisi durante la guerra nella ex-Jugoslavia. Uno dei pochi tribunali al mondo considerati, nell’immaginario comune, al di sopra di qualsiasi sospetto, al massimo impotente dinanzi alla latitanza dei loro accusati, protetti magari dal governo compiacente di qualche paese amico. Le cose non stanno esattamente così, come scopre nel film l’avvocatessa Hannah Meynard, peraltro sufficientemente indurita nella sua professione e abbastanza ambiziosa da fare di tutto per raggiungere i suoi scopi. Scossa nella sua anestetizzata coscienza dal suicidio del testimone-chiave al processo contro il generale serbo Duric, si reca sui luoghi della guerra e della pulizia etnica per cercare qualcuno che possa incastrare l’accusato, arrestato mentre vive spensieratamente in una località turistica.
Malgrado ostacoli e minacce troverà la sua nuova testimone, sopravvissuta a sevizie e stupri in un albergo-prigione requisito dall’esercito durante la guerra. Dopo quindici anni di silenzio e il tentativo di rifarsi una vita in Germania, la donna accetta di deporre al processo e incastrare definitivamente il suo carnefice. Se fosse un film americano, si chiuderebbe così, con il mostro dietro le sbarre e la giovane vittima con un nuovo futuro di speranza, invece Hollywood è molto lontana da qui. L’integrità della giustizia deve vedersela con la politica e, come già diceva Aristotele qualche secolo fa, è impossibile che un politico sia onesto. A qualcuno infatti non interessano tragedie degli anni Novanta, proprio quando i paesi della ex Jugoslavia stanno entrando nell’Unione Europea: un criminale di guerra che nel suo paese è visto come un eroe, se viene condannato può fare il gioco del nazionalismo più fondamentalista e soffiare sulle braci dell’Europa. Meglio forse lasciare tutto com è, “altrimenti si rischia una nuova Pristina” dichiara il compagno dell’avvocatessa, un cinico e disincantato esponente della commissione europea. Sul gigantesco scacchiere della politica internazionale non c’è posto per i sentimenti della testimone, la sua tragedia personale, i macabri rituali di protezione che la alienano dalla famiglia. I “cattivi” quindi escono di prigione accolti come eroi, ma forse uno spiraglio di salvezza per le vittime rimane...
Girato come è ormai conuetudine del regista con la macchina a mano per lasciare maggiore libertà agli interpreti e al contempo avvicinare lo spettatore, Storm non è un courtroom drama nè un’analisi delle conseguenze dei traumi psicologici delle “vittime di guerra” (nessuna insistenza morbosa su questo aspetto) quanto piuttosto un’indagine sui meccanismi giuridici che regolano la Corte Internazionale e i vari livelli di operatività dei propri esponenti. Più che al famoso procuratore capo svizzera Carla del Ponte, il film si ispira all’avvocatessa tedesca Hildegard Uertz-Retzlaff, che al tribunale dell’Aja riveste il ruolo dell’accusa nei processi per crimini di guerra. Ad interpretarla è la neozelandese Kerry Fox (indimenticata protagonista di Un angelo alla mia tavola e Intimacy malgrado sembri lavorare ormai soprattutto in televisione), capace come sempre di deformare il suo aspetto ingrassando e invecchiandosi, e di regalare un’interpretazione intensa e molto misurata. Al suo fianco in una gara di bravura sottotono Anamaria Marinca, scoperta dal cinema europeo dopo 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni .
Dopo Lichter (Distant Lights) e Requiem, entrambi premiati nelle scorse edizioni della Berlinale, Schmid conferma come sia possibile fare un cinema di impegno sociale e civile, semplicemente leggendo attentamente i giornali e osservando la realtà, ma senza perdere un profondo interesse umano per i suoi personaggi. In Italia la materia prima non manca, ma, salvo rare eccezioni, il cinema quando ci prova non riesce a distinguersi da una brutta televisione. Chissà perchè.
(Storm); Regia:Hans Christian Schmid; sceneggiatura:Bern Lange, Hans-Christian Schmid; fotografia: Bogumil Godfrejow; montaggio: Hansjörg Weißbrich; musica: The Notwist; interpreti: Kerry Fox, Anamaria Marinca, Stephen Dillane, Rolf Lassgård, Alexander Fehling; produzione: 23/5 Filmproduktion; distribuzione: Trust Nordisk; origine: Germania, Danimarca, Paesi Bassi, 2009; durata: 110‘.
