Berlino 2009 - The countess - Panorama

Il mito impossibile dell’eterna giovinezza per legare per sempre a sè un giovane amante. È il tema di ben due opere in mostra al festival del cinema di Berlino, ma se nel delizioso Cherie di Stephen Frears, tratto da Colette, l’amarezza dell’abbandono si stempera in una confezione degna di una scatola di confetti e di un’illustrazione di Georges Barbier, su ben altri toni si muove The Countess, scritto, diretto e interpretato dall’attrice francese Julie Delpy. Incentrato sulla figura di Erzsébet Bàthory, meglio nota come “la contessa sanguinaria” e considerata una dei primi serial killer della storia, il film cerca nell’ossessione amorosa della contessa per un uomo più giovane le motivazioni della carneficina da lei compiuta nel corso di alcuni anni, ovvero la tortura e la morte di centinaia di adolescenti vergini, il cui sangue versato sul corpo doveva procurarle l’eterna giovinezza.
Cresciuta in Transilvania, parente del conte Dracula, Erzsébet Bàthory è diventata presto un personaggio altrettanto leggendario, su cui si incrociarono testimonianze contraddittorie, ottenute con la tortura, e oscure vicende politiche. La follia sanguinaria presente nella sua famiglia è indubbia, ma è altrettanto certo che la sua sparizione dalla scena politica dell’epoca grazie all’accusa di stregoneria e omicidio facesse comodo a molti, compreso il re, che le era debitore di cifre astronomiche per la guerra contro i turchi.
Delpy, evidentemente affascinata dal personaggio cui dona la sua bellezza ambigua e impietrita, la dipinge inizialmente come una geniale e spietata donna di potere, conscia di come aumentare le sue ricchezze, convinta della parità intellettuale tra uomo e donna, e che stigmatizza con sarcasmo l’avidità della chiesa : i germi della sua crudeltà si manifestano sin dall’infanzia a causa dei terribili rituali sociali all’interno e all’esterno del castello, ma la barbarie “orientale” sembra presto vinta dalla raffinata vita a Vienna. Solo il terrore dell’abbandono da parte del giovane amante Istvan sembra far risogere in lei un culto demoniaco e sanguinario, dalle conseguenze sempre più spaventose, cui si affianca una congiura di palazzo per sottrarle le sue sostanze e passarle ad un ramo meno nobile della famiglia.
Quali che siano state le cause scatenanti della sua follia, è evidente che nell’uso del sangue esista una componente erotica: meno funziona però la decisione di ascrivere più precisamente la strage ad una ossessione amorosa, quantomeno articolata secondo i canoni melodrammatici del “secondo amore”. La ironica e spietata contessa si trasforma rapidamente perdendo tutta la sua invulnerabilità e commettendo una serie di errori veramente troppo ingenui, come la fiducia accordata al sulfureo nobile Dominic Vizakna (con il quale si abbandona a pratiche sadomaso francamente superflue ai fini della narrazione cinematografica), recuperando le simpatie dello spettatore solo quando si scatena la sua crudeltà nei confronti delle giovani vittime, peraltro ammantata di materna sollecitudine.
Girato con un cast internazione composto tra gli altri da un poco espressivo William Hurt e dal sempre bravo Daniel Brühl (che fa quello che può, ma appare piuttosto fuori parte), il film si avvale di una lussuosissima ricostruzione scenografica, campi lunghi su paesaggi e boschi suggestivi, nonchè una serie infinita di primi piani nei momenti “clou”. Già ispiratrice di una serie di pellicole più o meno horror negli anni ’70 (tra cui La morte va a braccetto con le vergini e Le vergini cavalcano la morte) la famigerata contessa meritava qualcosa di meglio che un blockbuster di taglio europeo e dichiarazioni davanti al carnefice del tipo “anche voi per il vostro benessere in guerra fate uccidere migliaia di persone”. In Cecoslovacchia le è stato recentemente dedicato un altro film più filologico, che sembra però non trovare distribuzione. Che sia stata un mostro o una vittima, la contessa intanto se la ride e nessuno riesce ad afferrare veramente il suo fantasma.
(The countess); Regia e sceneggiatura: Julie Delpy; fotografia: Martin Ruhe; montaggio: Andrew Bird; musica: Julie Delpy; interpreti: Julie Delpy, Daniel Brühl, William Hurt, Anamaria Marinca, Sebastian Blomberg; produzione: X Filme International, Celluloid Dreams; origine: Germania, Francia 2009; durata: 94’.
