Almanya - La mia famiglia va in Germania

Sono tramontati ormai i tempi in cui il cinema turco-tedesco veniva considerato la mina vagante, provocatoria ed eversiva, della cinematografia nazionale e i suoi registi i nipotini arrabbiati e “multi-kulti” di Fassbinder. Il sospetto si era fatto strada giä in tempi recenti, sia con Soul Kitchen di Fatih Akin (inspiegabilmente preferito dalla giuria di Venezia 2009 a capolavori come Persecution di Chereau), sia l’anno scorso a Berlino con Chiko di Özgür Yldirim, copia conforme e aggiornata al nuovo millennio di Kurz und schmerzlos di Akin, che non a caso compariva anche come produttore.
Prima o poi tutte le tendenze eversive, alternative, indipendenti, fuori dal sistema, finiscono per diventare tendenze e basta: lo ha dimostrato il Sundance Festival, nato come reazione allo strapotere e al circuito dominante hollywoodiano, e ormai marchio di fabbrica esso stesso di pellicole spesso brillanti, impegnate, ma inevitabilmente riconoscibili nei loro ormai cristallizzati canoni sin dal secondo fotogramma e lo stesso si può ormai affermare per il cinema turco-tedesco, malgrado i suoi valorosi esordi.
Non fa eccezione, anzi si puö considerare addirittura esemplare di questa “conversione a U”, la commedia Almanya – La mia famiglia va in Germania.
Realizzato a quattro mani da due sorelle nate in Germania da famiglia turca, Yasemin (sceneggiatura e regia) e Nersin (co-sceneggiatura) Samdereli, il film affronta il tema del “nostos”, il ritorno in patria, e come tale si inserisce pienamente nella produzione delle registe turco-tedesche, ben piu focalizzate dei loro colleghi sul rapporto con le loro radici e sulla ricerca di un linguaggio poetico che concili passato e presente, origine e appartenenza. Almanya è infatti il ritorno ad un villaggio dell’Anatolia voluto dal patriarca Hüseyin dopo 40 anni di lavoro in Germania, viaggio in cui coinvolge tre generazioni della sua famiglia, ognuna con i suoi diversi problemi di rapporto con le origini e con il paese di adozione.
La novità rispetto ad altre colleghe (penso ad esempio al lirismo pieno di pudore di Ayşe Polat) consiste più che altro nel rielaborare in chiave umoristica temi sinora confinati al dramma se non alla tragedia, cosa non sorprendente dato che casi di cronaca nera di “delitti d’onore” da parte di padri e fratelli popolano infatti anche le pagine dei quotidiani tedeschi.
Oltre alla chiave umoristica, il film si distingue soprattutto per l’uso piacevole e sin troppo accattivante di una serie di escamotages metacinematografici: non solo il recupero di materiale documentario di repertorio sulla società tedesca del miracolo economico montato ad arte su scene ricostruite, ma soprattutto, grazie alla voce narrante di lunghi flash back sull’arrivo in Germania, permette l’interazione dei personaggi narrati con le domande del nipotino che ascolta la storia come una fiaba.
Divertente, anche se un po’ scontata, é la presa in giro dei luoghi comuni tedeschi che H. vive sotto forma di incubo la notte prima di ritirare il sospirato passaporto tedesco, ovvero l’obbligo di mangiare carne di maiale, vedere “Tatort” (popolare serie televisiva poliziesca) e andare in vacanza una settimana all’anno a Marbella, ma soprattutto appare geniale il continuo, giocoso, rimando metalinguistico.
Nel racconto della giovane zia Canan al cuginetto Cenk (che ancora non ha imparato a parlare turco e come tale ha crisi di identità alla scuola elementare) é la famiglia di Hüseyin a parlare un tedesco perfetto, mentre i tedeschi (miscredenti e senza baffi come invece li hanno i veri uomini) parlano una sorta di incomprensibile linguaggio/grammelot, ispirato da quello di Adenoid Hinkel/Charlie Chaplin de Il grande dittatore. Gli effetti sono a dir poco esilaranti e il film tiene piuttosto bene nel moltiplicarsi di gag, invenzioni e linguaggi nella prima parte. Convince invece meno nelle sequenze focalizzate sull’oggi, eccessivamente edulcorando contrasti generazionali, ad esempio la pacifica accettazione della gravidanza della giovane Canan, non sposata, e per di piu´con uno straniero (nemmeno un tedesco, ma addirittura un inglese).
Con la morte improvvisa del patriarca in territorio turco, e l’immancabile sequenza con bara a bordo del pullmino che viaggia nel nulla (che ormai é un must della commedia di inzio millennio) Almanya vira decisamente verso il dolciastro, il già visto, il riconciliatorio a tutti i costi, con la benedizione addirittura di Angela Merkel in persona.
(Almanya); Regia: Yasemin Samdereli; sceneggiatura: Yasemin Sandereli, Nesrin Samdereli; fotografia: The Chau Ngo; Montaggio: Andrea Mertens; musica: Gerd Baumann; interpreti: Vedat Erincin, Fahri Yardim, Aylin Tezel, Lilay Huser, Demet Gül; produzione: Roxy Film GmbH; origine: Germania, 2010; durata: 97´
