Berlino 2011 - Come rain, come shine - Concorso

Ogni edizione della Berlinale ha il suo leit motiv. L’anno scorso non c’era film che non si aprisse sul rilascio di un criminale dopo un periodo di detenzione, con immancabile amico che lo attendeva fuori in giacca di pelle ciancicata. Quest anno non ci si salva dalle trentenni che decidono di lasciare i loro compagni/fidanzati/mariti non tanto per traumi/botte/tradimenti ma semplicemente per noia/ stanchezza/ spleen. Non si sa esattamente a chi attribuire la colpa, effettivamente gli uomini non ne escono molto bene, caratterizzati come sono da una generale passività e inerzia, ma del resto neanche tanto le donne, indecise, irritate, stanche.
L’annuncio di solito arriva nella sequenza iniziale del film e nel bel mezzo della routine quotidiana, cogliendo del tutto alla sprovvista il compagno di turno, che forse finge di non aver notato forse è anche lui sommerso dalla noia e dall’abitudine e gli va bene così.
È il caso di Nader e Simin, a separation (concorso) Un mundo misterioso (concorso), The future (concorso), Carmen cries on the bus (forum), Amador (panorama). Si aggiunge alla lista Come shine, come rain del coreano Lee Yoon-ki, in cui la rivelazione arriva molto casualmente nel mezzo della prima sequenza in cui una coppia di trentenni è in macchina per andare all’aeroporto (lei, pubblicitaria, parte, lui, architetto, l’accompagna) e si chiacchiera noiosamente di cose pratiche. Nonostante in questo caso l’abbandono veda anche la partecipazione di un altro uomo, la reazione è molto blanda: “penso di riuscire a cavarmela” dice lui. Verrebbe da pensare alla tipica calma orientale, se non fosse che in tutti gli altri film citati il comportamento è pressochè identico, a qualsiasi latitudine venga girato il film (Iran, Argentina, Stati Uniti, Colombia, Spagna, Corea).
Se in alcuni dei casi citati la separazione è un pretesto per scatenare altri eventi narrativi, in Come rain, come shine è l’essenza stessa della vicenda: dopo il prologo in macchina, il film trascorre praticamente in tempo reale nella casa di entrambi. Lei cerca di fare le valige e decidere cosa portare via. Lui amorosamente la aiuta soffrendo in silenzio. Il progetto di un’ultima civilissima cena fuori insieme salta perchè una tempesta ha allagato tutto il circondario. Arriva il gatto dei vicini. Arrivano i vicini a cercarlo. Il gatto rimane in casa. I vicini se ne vanno. I due cenano insieme. Piove.
Soltanto due brevissime sequenze incrinano la superficie perfetta di queste civilissime scene da un matrimonio, quando lui ha un momento di tenerezza mentre lei gli disinfetta un graffio del gatto di cui sopra (gesto prontamente congelato, non sia mai) e quando lei finalmente esasperata dalla di lui gentilezza, disponibilità e collaborazione gli sferra un pugno sul petto dicendogli: “ma perchè non ti arrabbi con me?”.
Ci auspichiamo seriamente una via di mezzo tra il blockbuster made in USA dove ogni tre minuti deve esserci un avvenimento per tenere sveglio lo spettatore e i centocinque minuti di Come rain, come shine che altro non è che un lunghissimo spot per mobili e oggettistica da casa incredibilmente glamour. La macchina da presa, col pretesto di seguire i due protagonisti belli ed eleganti (lui in particolare sembra in una continua sfilata uomo Vogue con ciuffo malandrino da parrucchiere) che salgono e scendono da tre piani di una casa che è il trionfo dell’estetica “bobo” (bourgeois-bohème), indugia su stanze semivuote con mobili anni cinquanta, bagni in costosissimi marmi grigi, camere con pareti a colori neutri e lenzuola in tessuto rigorosamente biologico, e tutta la migliore oggettistica in metallo da cucina modello Philippe Starck che servirà, colpo di scena finale, per preparare una pasta con due pomodori e una zucchina.
(Saranghanda, Saranghaji Anneunda); Regia e sceneggiatura: Lee Yoon-ki, tratta dal romanzo “The cat that can never come home” di Areno Inoue; fotografia: Jang Hyeongwook; montaggio: Kim Hyeong-ju; interpreti: Lim Soo-jeong, Hyun Bin, Kim Ji-su, Kim Joong-ki, Kim Hye-ok; produzione: Bom Film Productions; origine: Corea, 2011; durata: 105’
