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Berlino 2011 - Conferenza stampa di Sing Your Song

Pubblicato il 14 febbraio 2011 da Giovanna Branca


Berlino 2011 - Conferenza stampa di Sing Your Song

Berlino, 12 febbraio. Il modo di parlare di Belafonte è quello di chi si è trovato spesso nella posizione dell’oratore in mezzo alle grandi masse. Le parole scandite con precisione, la loro ponderatezza e una tendenza ormai naturale a saper scegliere i termini più incisivi, a saperli enfatizzare. Ma non è mai un discorso artefatto, retorico. Belafonte è un pupillo di Martin Luther King, e forse in lui vive un po’ dell’eredità di uno dei più grandi “eroi” della storia americana. Le domande a lui rivolte riguardano il mondo in cui viviamo, le sue piaghe e la speranza di poterlo rendere migliore. “Quando ero giovane pensavo che tutto fosse possibile e che il mondo potesse essere perfetto, che ogni risultato potesse essere raggiunto con il giusto numero di tentativi. Oggi mi rendo conto che stiamo ancora cercando di porre rimedio a quelle cose che pensavamo di aver sistemato ormai 50 anni fa”. Ma non è mai disilluso, Belafonte. Neanche nel rispondere a chi gli chiede quanto ci vorrà perché in Africa venga ristabilita una briciola di giustizia. “Ho fatto la stessa domanda a Nelson Mandela e lui stesso mi ha risposto di non saperlo, ma che non bisogna mai smettere di provare. Non ho idea del tempo che servirà per vincere le nostre battaglie, ma sono molto fiducioso nei giovani e nell’uso che possono fare delle nuove tecnologie, che ci consentono di scoprirci a vicenda e ci rendono tutti un po’ più vicini e un po’ più saggi. Forse sarete scettici nei confronti delle mie speranze. Molta gente era scettica anche nei confronti della Tunisia, della capacità dei tunisini di ottenere giustizia. Oggi sapete di cosa erano capaci”. Siamo nel 2011 e l’attività politica di Belafonte non accenna a fermarsi, come racconta la figlia Gina. “Dall’incontro tra i vecchi attivisti politici degli anni ’60 organizzato da mio padre è nata un’associazione, The Gathering, che si occupa di formazione per i giovani, offrendo svariate attività, come ad esempio il workshop sulla non violenza”. L’incontro cui allude Gina Belafonte - e che viene mostrato nel documentario di Susan Rostock - ha luogo nel 2007. “Ho sentito l’esigenza di riunire le persone che avevano preso parte alla lotta per i diritti civili dopo aver visto in Tv il video di una bambina che veniva ammanettata dalla polizia in una scuola della Florida”, racconta Harry Belafonte. “Vedere una cosa del genere ha assolutamente sconfitto la mia sensibilità di essere umano. Mi trovavo di fronte ad una nuova profondità della depravazione umana e ho pensato che ci fosse una crisi morale a cui dovevamo prestare attenzione”. Il cantautore e attore americano è anche pronto a rimettere in discussione le lotte e le conquiste del passato.“Serve un dialogo con i giovani, io vedo in loro una soluzione possibile. Loro sono pronti per una visione nuova. Se ciò che abbiamo fatto negli anni ’60 non li attrae vuol dire che c’è qualcosa di sbagliato nella nostra comunicazione con loro, nel modo in cui gli consegniamo il nostro retaggio”. Secondo Belafonte c’è speranza, “anche perché alla Casa Bianca si trova oggi uno dei più grandi intellettuali americani. Obama sta ancora imparando, e forse si potrebbe arguire che sta imparando un po’ troppo lentamente, ma è il miglior presidente che abbiamo dai tempi di Kennedy. E poi non bisogna scordare che il presidente è il leader di una comunità: se non c’è una comunità attiva dietro di lui non potrà mai farsi propulsore del cambiamento. Sono i cittadini a dover spingere i leader a prendere delle decisioni: Bobby Kennedy non sarebbe così tanto conosciuto se non fosse stato per il movimento per i diritti umani”. Qualche parola Belafonte la dedica anche al film su di lui, Sing Your Song, il motivo per cui si trova a Berlino a parlare con i giornalisti. “Considerate tutte le persone che ho conosciuto e le attività a cui ho preso parte c’era il rischio di realizzare un’opera narcisista, ma per fortuna Susanne Rostock (la regista) ha scongiurato questa eventualità. Ho sentito l’esigenza di fare questo film per farvi convergere il punto di vista di coloro di noi – parte di quelle lotte e dei sommovimenti di quegli anni – che sono sopravvissuti, per avere una testimonianza dei loro ricordi sugli avvenimenti”. Perché di alcuni purtroppo la memoria di quegli anni è andata perduta, e il ricordo più commosso di Belafonte va a Marlon Brando. “Io e Marlon abbiamo studiato recitazione insieme e da allora siamo sempre stati amici. Poi lui ha conquistato il mondo come attore, ma non è mai stato altrettanto conosciuto per il suo grandissimo impegno politico. Quando è morto i libri di storia hanno perso un grande racconto. Ecco perché ho voluto documentare quelle persone che hanno preso parte alla nostra battaglia”.


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