Berlino 2011 - The forgiveness of blood - Concorso

Strano personaggio Joshua Marton. Nato e cresciuto in California, regista da una puntata sola (ormai si usa così, ad honorem) di serie cult come Six feet under, In treatment, Law and order, quando si occupa di cinema cambia repentinamente faccia, getta la maschera (o se la mette, a seconda dei punti di vista) e realizza film dallo stile neo-neo realista impegnati, duri, con locations ben poco commerciali come la Colombia (Maria full of grace, premio Alfred Bauer nel 2004 e orso d’argento per la sua migliore interprete femminile) e l’Albania del suo secondo lungometraggio Forgiveness of blood.
Al centro di entrambi la cultura sanguinaria e maschilista di due paesi poveri e degradati, che costringe le donne ad atti di eroismo e di sacrificio per non perdere la speranza di un mondo migliore. Se nel primo caso Maria portava in grembo la grazia di un figlio e nello stomaco le capsule di droga da far arrivare negli Stati Uniti, questa volta è Rudina, brava studentessa, buon carattere, a dover abbandonare una vita normale a causa di una faida sanguinaria che per futili motivi ha coinvolto la sua famiglia.
Secondo il Kanun, antico codice albanese tramandato oralmente e che soprattutto nel nord del paese è riuscito a sopravvivere parzialmente alla dittatura comunista, in caso di omicidio nessun elemento maschile della famiglia responsabile della violenza può uscire di casa, pena l’uccisione da parte del clan della vittima.
Accade così che dopo la fuga del padre (che ha ucciso non si sa quanto accidentalmente un vicino per motivi di proprietà) fugge, il figlio adolescente Nik è costretto a barricarsi in casa, improvvisamente privo di motorini, partite di calcio, compagni di scuola e primi amori. Per tutti è normale che sia così: Nik parla di un compagno di scuola segregato a casa per 6 anni prima che la vicenda venisse risolta da un mediatore, la scuola manda a casa un maestro per i fratellini piccoli, i vicini si dolgono ma senza sorpresa, si cercano i mediatori adatti e intanto il tempo passa. E mentre Nik sfoga la sua rabbia chiuso nella casa prigione è sua sorella minore Rudina che deve mandare avanti la famiglia, rinunciando a studiare e prendendo il posto del padre che distribuiva il pane nel circondario (a proposito: quando a casa hanno playstation di ultima generazione, cellulari e parabola, perchè la consegna deve avvenire su uno sgangherato calessino ancora trainato da un cavallo? Mah).
Privo di una sceneggiatura ferrea come nel caso di Maria full of grace e soprattutto di un’attrice dell’intensità di Catalina Sandino Moreno, The forgiveness of blood risulta un compitino ben svolto ma estremamente prevedibile nelle sue dinamiche, sempre a rischio di luogo comune (uomini sanguinari, le donne sono per la vita e l’armonia ma non contano niente, l’importanza della libertà da codici obsoleti, l’oscillazione del paese ancora tra arretratezza e sviluppo). Non aiutano a risollevare le sorti la regia semplificata e illustrativa che nel caso precedente strideva con gli avvenimenti narrati, un montaggio un po’ televisivo e qualche eccesso di colonna sonora. Resta l’impressione del “è intelligente ma non si applica” e quindi merita solo la sufficenza.
(The forgivness of blood); Regia: Joshua Marston; sceneggiatura: Joshua Marston, Andamion Murataj; fotografia: Rob Hardy; montaggio: Malcolm Jameson; musica: Jacobo Lieberman, Leonardo Heiblum; interpreti: Tristan Halilaj, Sindi Laçej, Refet Abazi, Ilire Vinca Çelaj, Çun Lajçi; produzione: Journeyman Pictures; origine: Usa, Albania, Danimarca, Italia, 2011: durata: 109’
