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Berlino 2011 - Vampire - Panorama

Pubblicato il 17 febbraio 2011 da Giovanna Branca


Berlino 2011 - Vampire - Panorama

Nel 2011, i vampiri non sono più i pallidi non morti della tradizione che succhiano il sangue dal collo di vergini indifese. Una delle figure più ricorrenti del cinema, se non la più ricorrente, si tramuta nel primo film in lingua inglese del regista giapponese Iwai Shunji - Vampire, appunto - in una metafora dell’alienazione e della deviazione mentale della società contemporanea. Simon è un professore ventottenne di biologia al liceo, ma nel tempo libero frequenta assiduamente un sito di aspiranti suicidi per incontrare ragazze che vogliono togliersi la vita e aiutarle a farlo: con un’attrezzatura professionale risucchia tutto il loro sangue in delle bottiglie per poi berlo, spinto da una necessità ossessiva mai giustificata nel corso dell’intera storia. Il film procede per episodi quasi autoconclusi, che danno corpo ad un mondo di solitudini e aberrazioni psicologiche: dal protagonista agli aspiranti suicidi, passando per gli emuli di Simon e tutti coloro che entrano in contatto con la sua vita. L’ambientazione è in una Vancouver grigia e quasi svuotata di ogni presenza umana, da cui le persone emergono per essere subito fagocitati nell’oblio. Lo stile è di una ricercatezza che solo i giapponesi hanno: dalla fotografia in cui ogni colore e sfumatura hanno un loro perché a tutti i movimenti di macchina. Soprattutto è uno stile manifesto, che richiama l’attenzione su se stesso: primi piani troppo stretti, sfocature, immagini “mentali”. Pur nella sua preziosità, alle volte è eccessivamente manierato: le inquadrature ruotate di centottanta gradi nella sequenza in cui Simon pesca con il poliziotto finiscono per rendere un po’ troppo ovvio il tentativo di trasmettere la sensazione di assurdità e di inaffidabilità di ogni prospettiva; invece che aprire il senso lo chiudono in una didascalia. Ciononostante, la prova registica di Iwai Shunji è veramente notevole - soprattutto se si considera che il regista giapponese ha curato personalmente ogni singolo aspetto del film - e alcune sequenze sono impregnate di un lirismo che solo un’osservazione profonda delle contraddizioni umane può produrre. Nonostante sia il primo film del regista ad essere ambientato nel mondo occidentale, Vampire è imperniato su una storia di alienazione dall’animo profondamente giapponese: dalle strane perversioni ad un senso di solitudine e incomunicabilità che, pur essendo proprie anche del nostro mondo, si manifestano in forme a cui il pubblico occidentale non è certo abituato. Eppure la visione non è minimamente inficiata dalla distanza culturale, che viene anzi colmata dal fatto che l’opera di Shunji ha la capacità di costituirsi come emblema di un mondo che non sa più riconoscere i valori alla base della sopravvivenza della specie umana. Mantenendo viva la speranza: l’amore che nasce tra Simon e una sua quasi vittima e la speranza nell’arte – nella fattispecie il cinema – che nel finale forse assolverà Simon dall’accusa di essere un serial killer come gli altri; il ragazzo riprende una delle sue “vittime”, che di fronte alla telecamera dichiara il suo consenso all’omicidio/suicidio, in quanto non ha mai capito come riuscire a vivere. La redenzione e la dannazione a cui da sempre il vampiro è destinato: l’amore per la bella - che nel Dracula di Coppola costituiva il primum movens del conte, il suo tallone d’Achille e la sua salvezza finale - la dannazione e la grazia della luce, quella che nel Nosferatu di Murnau dissolveva il vampiro per aver contemplato Ellen (Mina) troppo a lungo. Ma la luce è anche, metaforicamente, quella del cinema. Cosi, quando il sole entra a illuminare i segreti dello stanzino di Simon e la polizia scopre i cadaveri delle ragazze, la sua redenzione verrà forse dalla proiezione luminosa dei film che lui stesso ha fatto alle sue vittime.


CAST & CREDITS

(Vampire) Regia: Iwai Shunji ; sceneggiatura:Iwai Shunji ; fotografia: Iwai Shunji ; montaggio:Iwai Shunji ; musica: Iwai Shunji ; interpreti: Kevin Zegers (Simon), Keisha Castle-Hughes (Jellyfish), Adelaide Clemens (Ladybird), Helga (Amanda Plummer); produzione: Iwai Shunji, Tim Kwok; origine: Stati Uniti, Canada ; durata: 120’.


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