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Black Coal, Thin Ice - Concorso

Pubblicato il 12 febbraio 2014 da Giovanella Rendi

VOTO:

Black Coal, Thin Ice - Concorso

Il poliziotto è diventato uno degli addetti alla sicurezza di una fabbrica. Il serial killer è l’addetto ai pattini da ghiaccio di una piccola pista di pattinaggio. La femme fatale porta dei maglioncini girocollo grigi e dei cardigan che nemmeno l’ultima delle segretarie della DDR e lavora in una squallida tintoria. Eppure gli ingredienti del noir ci sono tutti: un misterioso assassino che fa a pezzi le sue vittime e ne fa ritrovare gli arti smembrati in mezzo a tonnellate di carbone, un poliziotto divorziato e ubriacone che vuole vendicare il suo bravo collega e amico rimasto vittima dell’assassino durante le indagini, la donna misteriosa con cui sono venuti a contatto tutti gli uomini prima di sparire per sempre.

Diao Yinan, classe 1969, prima di diventare regista si è fatto le ossa come sceneggiatore dei colleghi Shi Runjiu e Zhang Yang, e si vede: non solo conosce perfettamente il meccanismo del cinema di genere ma lo utilizza con grande maestria anche nella costruzione di mini-sequenze quasi autonome dalla vicenda e tuttavia perfettamente inserite nel contesto. È il caso di una breve scena ambientata in un parrucchiere che in pochissimo tempo, cogliendo lo spettatore completamente di sorpresa, scardina i luoghi comuni e un po’ scontati della commedia su cui sembrava incanalarsi, per trasformarsi in tragedia greca con un cumulo di cadaveri insanguinati. È palese infatti che Diao Yinan è talmente a suo agio con il cinema di genere da poterci giocare, sia dal punto di vista della sceneggiatura, che nell’inserimento dei topoi più classici della Hollywood anni ’40 nella Cina di oggi. E quindi non mancano colpi di scena a ripetizione, nei quali lo spettatore un po’ si perde ma non è sempre un male (lo stesso Chandler confessava che ne Il grande sonno neanche lui sapeva bene chi avesse fatto fuori l’autista della famiglia Sternwood).

Una serie di scatole, appunto, cinesi. L’effetto comico e tragico allo stesso tempo proviene infatti dalla riproposizione dei meccanismi del primo noir tradizionale nella Cina degli ultimi quindici anni, dato che i delitti cominciano nel 1999 (quindi nessuna rielaborazione cerebrale/metafisica/crepuscolare/politica: Altman, i Cohen, Tarantino non abitano più qui). Gli archetipi di genere, cadaveri compresi, si muovono dunque su una scenografia che non potrebbe essere più lontana: grigie fabbriche dove si lavora il carbone, negozietti tristi, night club squallidi, anche le macchine dei poliziotti hanno l’aria misera e persino gli arti delle vittime, quando emergono dal carbone, non hanno la nobile spettacolarità che avrebbero in un film americano. Anche quando si vede l’assassino disfarsene, sono accuratamente e tristemente impacchettati in una carta a strisce, tutti in fila. Per non parlare della scena di sesso, che finalmente consumano il poliziotto e la sua femme fatale, una delle più goffe e meno romantiche della storia del cinema: di notte in bilico nella cabina di una ruota panoramica di un luna park, con un freddo micidiale, tutti i vestiti addosso, urtando continuamente nello spazio ridotto, tanto che nella scena successiva i due protagonisti si rifocillano avidamente di cibo caldo in una specie di trattoria. Anche dietro tutto il castello di carte che finalmente cade sotto le insistenti indagini del protagonista non c’è niente di romantico, né follia, né potere, ma soltanto la miseria. E persone qualsiasi, non migliori né peggiori degli altri. Ed è forse proprio questo che rende tutto così vero (e così poetico).


CAST & CREDITS

(Bai Ri Yan Huo); Regia: Diao Yinan; sceneggiatura: Diao Yinan; fotografia: Dong Jingsong; montaggio: Yang Hongyu; musica: Wen Zi; interpreti: Liao Fan,Gwei Lun Mei, Wang Xuebing , Wang Jingchun, Yu Ailei; produzione: Omnijoi Media Corporation Jiangsu, Boneyard Entertainment China (BEC), China Film Group, Jiangsu Omnijoi Movie; origine: Repubblica Popolare Cinese, Hong Kong, 2013; durata: 106’;


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