Blindness - Cecità

Tratto dal romanzo Cecità del premio Nobel Saramago, Blindness di Fernando Meirelles è chiamato ad aprire il 61° Festival del cinema di Cannes. Sembra quasi che la grande kermesse da subito voglia rigettare qualsiasi aspettativa rassicurante.
La pellicola è dura, angosciosa, disturbante già a partire dalla storia che racconta sino ad arrivare alla messa in scena vera e propria. La cecità che colpisce i protagonisti è metafora dell’oscurantismo odierno. La menomazione fisica corrisponde, quindi, ad una assenza di valori (attenzione però a non scadere nel qualunquismo assoluto) che corrode dall’interno le strutture della società. Costretti a vivere reclusi, ghettizzati dallo stesso stato che dovrebbe garantire assistenza ma che, al contrario, esilia qualsiasi minaccia secondo la legge del non vedere / non sentire, i reclusi iniziano un estenuante percorso di sopravvivenza.
Sono i dettami di una solidarietà che accomuna nel dolore a guidare inizialmente la convivenza ma, ben presto, dimenticando qualsiasi possibile slancio umanitario, è la legge del più forte ad emergere come unica possibile forma di democrazia. Diverse le chiavi di lettura che il film propone (ancora di più il testo scritto), gli spunti che Meirelles di minuto in minuto affida alla sua pellicola peccando forse di troppa presunzione. Ricercando l’eleganza stilistica propria di un Cuaròn o la sapiente (e funzionale) costruzione drammatica del Lars Von Trier di Dogville, il prodotto finale è carente per personalità, non riuscendo a trovare e trasmettere una identità precisa.
Funziona il ruolo di cantore greco affidato a Danny Glover (moderno Tiresia) così come la recitazione di Julianne Moore (ma questa non è una novità). Perfino alcune forzature (l’esasperazione profonda di tutto ciò che è abiezione) si riescono a sopportare all’interno della costruzione filmica, ma è la complessità tutta dell’opera a risultare piuttosto debole. Meirelles (autore che confessiamo non amare troppo) sembra volere giocare un po’ furbescamente con gli stili e le mode del momento, affidarsi ad una narrazione, strutturata e stratificata su più livelli, che non gli appartiene, crogiolandosi in sequenze abbastanza accattivanti visivamente ma assai povere per contenuto ed utilità.
Doversi confrontare con la scrittura di Saramago, autore che ama nascondere molteplici germogli interpretativi tra le pieghe delle sue parole, finisce probabilmente con il confondere le idee originali del regista. Ci sarebbe, poi, da aprire una parentesi sulla intraducibilità in immagini di alcune opere letterarie che si vedono spogliare di tutta la carica eversiva e poetica al mutare del linguaggio di riferimento, ma non è questo il momento opportuno. Proprio l’epilogo, chiusa ideale e perfetta di tutte le metafore nel libro, sullo schermo sembra strizzare l’occhio ad una emotività che tanto (troppo) rimanda al melodramma.
Apertura di impatto ma di non troppo alto valore, dunque, e anche un po’ troppo furba per questa nuova edizione del festival. Sarebbe interessante conoscere il pensiero di Saramago.
(Blindness); Regia: Fernando Meirelles; soggetto: Tratto dal romanzo Cecità di José Saramago, sceneggiatura: Don Mc Kellar; fotografia: César Charlone; montaggio: Daniel Rezende; musica: Marco Antonio Guimaraes, Uakti; scenografia: Tulé Peake; costumi: Renée April; interpreti: Julianne Moore, Mark Ruffalo, Alice Braga, Danny Glover, Gaél Garcia Bernal; produzione: Rhombus Media, 02 Filmes, Bee vine Pictures; distribuzione: Pathé Distribution; origine: Brasile; durata: 118’
