Blondie

Un certo qual sospiro bergmaniano si incontra con lo spirito iconoclasta e graffiante di molti film Dogma in questo Blondie.
La dinamica è quella della conversation piece di classica memoria, con tutti i personaggi di un composito nucleo familiare a far bella mostra di sé davanti all’obiettivo indifferente di qualce macchina fotografica.
Nature morte (ma non troppo) e luce, fredda, d’acquario a (s)coprire carezzevole i destini di una madre e tre figlie che si sono tanto amate e tanto odiate.
Non è una sinfonia d’autunno, nè una sonata di marroni e grigi, Blondie. Semmai ricorda in qualche misura un quartetto d’archi a tinte fosche, di morti sfiorate e di fanciulle che non sanno confrontarsi col lutto costante delle loro illusioni distrutte, figurarsi quello possibile di una madre che non le ha davvero capite fino in fondo.
La traccia di partenza è sviluppata in tre capitoli ben divisi da tre scritte brechtiane a campeggiare su diversi scatti per foto di famiglia con tutti in posa nell’attesa che il flash le catturi sulla carta e nel ricordo. Tre momenti estremi: la riunione di famiglia per il settantesimo compleanno della madre, la famiglia che si disintegra quando la madre crolla a terra e finisce in coma lasciandole sole e la terza che sancisce la creazione di una nuova famiglia quando la matriarca torna dal mondo dei dormienti, ma senza memoria alcuna, se non sprazzi fugaci del passato. In mezzo, tra i tre quadrucci di invidiabile precisione ci sono gli screzi tra le sorrelle, i litigi con la madre, i divorzi dai compagni, il non sentirsi all’altezza di una madre così esigente da mandare le figlie lontano non appena esse rivelano la possibilità di uno straccio di futuro e le rudezze di una donna che non sa chiedere scusa anche se sente di aver fatto tanto soffrire.
Il racconto si divide tra gli assoli straziati delle figlie che piangono tra cuscini profumati di bucato e momenti di strana ironia corrosiva che mangia i personaggi facendo loro male.
Piccolo poema sul rapporto madri - figlie soffocato da aspettative e piccoli tradimenti, Blondie ha un che di datato nel suo chiudersi in un gruppo di famiglia in un interno. Funziona sulla piccola distanza delle scene anche spiazzanti di cui si compone, ma rivela a tratti ambizioni cinefile, come negli omaggi musicali al Bernard Hermann di Hitchcock, che non trovano ragioni d’essere convincenti al di là degli accostamenti ai capelli ugualmente biondi di una Tippi Hedren.
La regia rivela mano ferma e alcune soluzioni paiono ispirate, ma nel complesso il film sembra più un bell’esercizio di stile arredato da ottime attrici, che non quel toccante quartetto sulle aspettative deluse che ci si aspettava a tutta prima.
E il finale delicato con la madre che ricorda tra le nebbie i suoi errori ha il sapore di un risarcimento che arriva troppo tardi solo per lo spettatore in sala.
(Blondie); Regia e sceneggiatura: Jesper Ganslandt; fotografia: Linda Wassberg; montaggio: Johan Bjerkner, Emil Stenberg, Anna Ivanova; musica: Fredrik Emilson; interpreti: Marie Göranzon (Sigrid), Carolina Gynning (Elin), Helena af Sandeberg (Katarina), Alexandra Dahlström (Lova), Olle Sarri (Janne), Alva Springfeldt (Lovisa), Tindra Rohbrahn (Elsa), Jonathan Silén (Håkan); produzione: Fasad AB; origine: Svezia, 2012; durata: 88’
