Bunny & the Bull - Roma 2009 - L’altro cinema / Extra
Presentato come vicino alla poetica e alla impaginazione visiva di autori quali Terry Gilliam e Michael Gondry, Bunny & the Bull si accosta più al secondo che al primo pur restando, a nostro avviso, lontano anni luce dalla compattezza narrativa del regista di The eternal sunshine of the spotless mind e di L’Arte del Sogno. La costruzione scenografica, l’uso di una animazione “povera” e alcune trovate della sceneggiatura ricordano solo da lontano l’opera di Gondry.
Il film racconta di un uomo, Stephen, che rifiuta il contatto con il mondo esterno. Chiuso tra le pareti di casa, tra pile di giornali accatastate ai muri e scorte di cibo surgelato, il ricordo improvviso del folle viaggio intrapreso anni prima con il suo migliore amico, Bunny, (un tipo divertente, dipendente da qualsiasi cosa, scapestrato e, in tutto e per tutto, vero contro-altare del protagonista) lo spingerà verso uno scontato (davvero facilissimo prevederlo) epilogo.
Che le produzioni low budget vadano premiate è fuor di dubbio. Ugualmente da apprezzare è qualsiasi sforzo intrapreso per operare tanto un rinnovamento in termini di rappresentazione quanto una presunta originalità narrativa. Il problema, ma è un dato puramente soggettivo (a molti il film è piaciuto parecchio), è che in questo caso non si verifica né la prima né la seconda cosa. Alcune gag risultano ben confezionate, più per la netta contrapposizione dei caratteri dei personaggi che per effettiva consistenza, generando qualche sorriso, ma ci si ferma qui.
La struttura, tipica di ogni road movie, prevede un percorso di crescita del protagonista (per cui si alternano delusioni e svolte improvvise) che si delinea parallelamente a pseudo storie d’amore, schizofrenici incontri e tradimenti vari. Quello che funziona maggiormente è di certo il rapporto che lega Stephen a Bunny. La totale diversità dei due personaggi, schivo e timido il primo, espansivo ai limiti del patologico e disordinato il secondo, oltre che rappresentare uno dei topoi più ricorrenti in un film del genere, crea un certo ritmo di cui la pellicola non può che giovarsi. Novantacinque minuti di proiezione, però, non possono vivere solo di questo, ed infatti sono più i momenti di noia che non di reale coinvolgimento.
Visivamente, come già ricordato, il film mostra un impianto immaginifico, delicato ai limiti del poetico in alcuni istanti (da qui l’accostamento, non proprio felice, con Gondry), figlio della voglia dell’autore di confrontarsi, in ottica assolutamente personale, con un tema, quello del viaggio, assai ricorrente nella cinematografia contemporanea.
Da ricordare, inoltre, che il regista, Paul King, ha diretto le tre serie complete della sit com inglese The Mighty Boosh, serie Britannica dalle frequenti ambientazioni surrealiste, più diversi show teatrali. Il tentativo di esportare anche sul grande schermo le peculiarità del lavoro televisivo convince solo fino ad un certo punto. Bunny & the Bull resta un film in grado di dividere. La sala, qui al Festival di Roma, ha mostrato di apprezzare la pellicola in tutti i suoi aspetti. Noi siamo rimasti nettamente più freddi. Non resta che augurarsi, quindi, che il film possa trovare una distribuzione italiana (difficile ma non impossibile) e stare a vedere quali saranno i risultati.
(Bunny & the Bull) Regia e sceneggiatura: Paul King; fotografia: John Sorapure; montaggio: Mark Everson; scenografia: Gary Williamson; musica: Ralfe Band; interpreti: Edward Hogg (Stephen Turnbull), Simon Farnaby (Bunny), Veronica Echegui (Eloisa); produzione: Warp X; distribuzione: Wild Bunch; origine: Gran Bretagna 2009; durata: 95’;