Camille Claudel 1915 - Concorso

Sempre alla ricerca di un filo conduttore per ogni edizione di ogni festival, la stampa internazionale ha già ribattezzato questa edizione “il festival delle donne”: molte infatti sono le protagoniste femminili a dominare le pellicole del concorso, come Gloria di Sebastián Lelio, come Layla Fourie, come Cornelia di Children’s pose, come anche Lovelace (intesa come Linda di Gola Profonda, presentato in Panorama Special). Per la Francia si è già vista Suzanne, protagonista della rigorosa trasposizione di Guillaume Nicloux de La religieuse di Diderot, ma sembra che quest’ anno il comune denominatore della produzione francese in concorso sia la riproposizione di personaggi letterari o storici, già a loro volta precedentemente trasposti per il grande schermo, dato che l’eroina della seconda opera in concorso è Camille Claudel, sorella dello scrittore Paul, amante e allieva di Auguste Rodin, già interpretata da Isabelle Adjani nell’omonimo film di Bruno Nuytten, “Orso d’oro” come migliore attrice alla Berlinale del 1989.
I paragoni tra ieri e oggi sono poco efficaci quando a dirigere la nuova pellicola è un regista come Bruno Dumont, autore di opere come Twentynine Palms (2003) o Flandres (2006), da molte considerate urticanti connubi di moralismo e sgradevolezza. La sua Camille Claudel, inoltre, non vive sullo schermo che pochi giorni: il film si basa infatti soltanto sulle lettere della scultrice al fratello e sul diario di Paul, e ricostruisce pochi giorni del 1915, un mese dopo l’internamento della protagonista in manicomio. Con la prosaicità di un diario, Camille Claudel 1915 racconta dunque giornate tutte uguali nel magma della malattia mentale, susseguirsi di rituali apparentemente normali svolta da folli, in cui la protagonista (che soffre di manie di persecuzione e probabilmente di quella che oggi si chiama depressione) alterna momenti di lucidità ad altri di disperazione, riponendo ogni speranza nella visita del fratello di lì alla fine della settimana. Camille si cucina i pasti da sola, a causa del suo terrore continuo di essere avvelenata, prega, scrive, cammina avanti e indietro nello spazio apparentemente libero del manicomio. Guarda, osserva un mondo di suore gentili ma inespressive e di pazze che provano anche dell’affetto per lei ma sono incapaci di comunicare se non con grida animalesche. Si reca con loro a fare una passeggiata in montagna nel vento dove non accade nulla eppure si avverte il senso simbolico di un’esperienza non dissimile di quelle di Robert Walser, anche lui internato (ma volontariamente) in una casa di cura qualche anno dopo.
Per Camille comunque, il manicomio è prima di tutto una gabbia che le impedisce di esprimersi nella sua arte: esemplare in questo senso è il suo contatto con l’argilla di un campo, che comincia immediatamente a manipolare ma che poi getta via esasperata.
Considerati i rischi che porta con sè un personaggio come quello di Camille Claudel, Dumont controlla e comprime la materia in maniera esemplare, focalizzando la sua attenzione quasi esclusivamente sulla sua protagonista, magistralmente interpretata da Juliette Binoche, scamigliata e senza trucco, che resiste con eroismo ai vezzi narcisistici che un ruolo del genere sollecita in qualsiasi attrice. Inquadrata sempre in primo o primissimo piano, corrucciata, e respingente, Camille è ben lontana dai romantici “pazzi” di tanto cinema, ma comunica l’altalenarsi dei suoi stati d’animo e soprattutto la sua angoscia per la cattività e la solitudine psicologica, circondata com è da quelli che oggi si chiamano handicappati mentali gravi (discutibilmente interpretati da autentici pazienti di un ospedale psichiatrico), ridicoli, teneri, insopportabili.
Terribile risulta l’incontro con il religiosissimo e borghese fratello Paul, che nella sua distaccata gentilezza assume il ruolo più crudele di tutti, rifiutando il parere dei medici favorevoli al rilascio dal manicomio, e di fatto chiudendo le porte della gabbia di Camille per i successivi 29 anni, fino al giorno della sua morte.
(Camille Claudel 1915) Regia e sceneggiatura: Bruno Dumont; fotografia: Guillame Deffontaine; montaggio: Bruno Dumont, Basile Belkhiri; musica: ; scenografia: ; interpreti: Juliette Binoche (Camille Claudel), Jean-Luc Vincent (Paul Claudel); produzione: 3B Productions, Arte France Cinema; origine: Francia; durata: 97’.
