Hunger

Il clima quasi surreale dell’incipit scompare del tutto quando scopriamo che Raymond Lohan lavora come poliziotto penitenziario presso il carcere di Maze nel nord dell’Irlanda. Il suo sguardo stanco al risveglio, la serafica consumazione della colazione, il sorriso appena accennato alla moglie e già spento assumono pieno significato non appena la mdp del regista ci conduce nel suo luogo di lavoro. Scopriamo allora il perché di quei gesti ripetuti stancamente, quell’indugiare le mani nell’acqua come per volersi lavare via non solo i segni fisici della giornata ma attimi e sequenze “del suo inferno vivente” (così lo definisce).
È il 1981 e l’Irlanda è sconvolta dalle note guerre intestine. Nel blocco H del carcere di Maze sono rinchiusi i prigioneri repubblicani (“prigionieri non ordinari” leggiamo scritto sul quaderno dell’ufficiale di turno) in piena rivolta attuando lo sciopero della fame e la rinuncia a lavarsi (The Blanket and No-Wash protest).
Assolutamente divisibile in tre parti, i primi di 45° minuti di Hunger è un continuo indugiare sui luoghi e gli spazi, claustrofobici e inumani. I prigionieri vivono tra i rifiuti ed il letame, in celle infestate da vermi e insetti vari, tra pareti che portano incisi graffiti di escrementi e cibo andato a male, anche questi simboli di una resistenza totale. Rifiutano il contatto con l’acqua e sono costretti a lavarsi “grazie” alle scariche di pugni e calci della polizia carceraria.
Steve Mcqueen alla sua opera prima decide di non tralasciare nulla optando per uno stile di denuncia volutamente spettacolare. Quasi sadico in alcune riprese (ci ha ricordato molto lontanamente il gusto tipico del cinema di Ulrich Seid) si limita a catturare al meglio gli orrori che gli si prospettano davanti compresi i metodi clandestini adottati dai carcerati per comunicare con l’esterno.
Il dialogo (almeno venti minuti) tra il capo della resistenza ed un sacerdote amico, interamente ripreso con camera fissa, segna una svolta. È la trovata che Mcqueen usa per fare parlare i suoi protagonisti, per contestualizzare pienamente il periodo storico cui fa riferimento e i motivi di una protesta tanto estrema, oltre che per introdurre il lungo e straziante epilogo.
Basandosi sulla cronaca degli anni, il regista non riesce a trovare il giusto equilibrio tra la voglia di documentare e l’istinto naturale verso l’esasperazione puramente cinematografica. Il risultato è una pellicola che resta abbastanza sospesa, lodevole per le intenzioni e anche per certi momenti di regia particolarmente asciutti e concreti ma, al contempo, eccessivamente prolissa e stancante per chi osserva.
(Hunger) Regia: Steve Mcqueen; soggetto, sceneggiatura: Enda Walsh, Steve Mcqueen; interpreti: Michael Fassbender, Liam Cunningha; produzione: Blast! Films; distribuzione: MK2 Diffusion; origine: England; durata: 100’;
